In un mondo in cui “paralimpico” appare riduttivo rispetto a “olimpico” e “normodotato” è, in parte, discriminante rispetto a “disabile”, tante storie di atleti disabili e paralimpici ci ricordano che, troppo spesso, i veri disabili siamo noi, perlomeno per il modo in cui pensiamo e osserviamo le cose. E allora ti rendi conto che è tutta una questione di punti di vista e di preconcetti.
Prendiamo come esempio Cristiano Ronaldo: è famoso a tutte le latitudini, ci sono magliette col suo nome in tutti i continenti e quotidianamente è attorniato da persone che chiedono di farsi un selfie con lui. Bene, se cambiassimo la prospettiva, e pensassimo alle gesta di CR7 come a qualcosa di “normale”, tutto ciò non avverrebbe. E magari diventerebbe “speciale” vincere una medaglia d’oro senza un arto (o entrambi), o segnare un gol senza l’ausilio della vista. Cosa che, se ci pensiamo un attimo, è realmente speciale.
Abdellatif Baka, per esempio, è uno col quale spendere un selfie. L’atleta ipovedente algerino ha vinto l’oro paralimpico nei 1500 metri con un tempo di 3’48”29, inferiore di un secondo e 71 centesimi rispetto al tempo fatto registrare nella stessa specialità dal normodotato Matthew Centrowitz alle Olimpiadi. E nell’impresa si sono iscritti anche l’etiope Tamiru Demisse, il keniota Henry Kirwa e Fouad Baka, fratello di Abdellatif, rispettivamente argento, bronzo e quarto classificato, tutti al di sotto del tempo della medaglia d’oro olimpica. Dinanzi a un fatto straordinario come questo, ecco che assume un’altra accezione il successo “normale” di Centrowitz.
Ma l’algerino non è il solo, perché pure noi italiani abbiamo (almeno) un eroe di cui vantarci, uno la cui storia andrebbe quasi insegnata a scuola. Il riferimento ovvio e dovuto, oggi, è per Alex Zanardi, campione di handbike nella cronometro H5. Qualcuno l’ha definito “immenso”, qualcuno “eroe stellare”, altri più semplicemente “Superman”, ma lui è uno che si sente normale, che ha voluto dedicare l’oro di Rio (la quarta medaglia paralimpica della sua carriera dopo i due ori e l’argento di Londra 2012) alla mamma, alla moglie e al figlio. E via con le lacrime durante la premiazione, quasi a voler recuperare appunto quel suo essere “comune” e così squisitamente umano.
Alex Zanardi, assieme a Federico Morlacchi (200 misti SM9), a Francesco Bocciardo (400 stile libero), ad Assunta Legnante (lancio del peso), a Bebe Vio (fioretto), a Vittorio Podestà (ciclismo categoria H3) e a Luca Mazzone (ciclismo H2), per limitarci ai sette ori finora ottenuti alle Paralimpiadi dalla spedizione azzurra, sono dei veri e propri eroi dei giorni nostri.
I magnifici sette, con le loro incredibili storie, ci ricordano che non esiste difficoltà in grado di ostacolare chi è mosso dalla passione, dalla voglia di rivalsa, dalla fame di vita e dal cuore. Proprio per questo motivo, ai bambini dovremmo insegnare la storia di Alex Zanardi, assieme a quella di Garibaldi. Eroi diversi, lontani nei secoli e distanti magari anche concettualmente, ma esempi ugualmente straordinari.
“Tante persone credono di aver già dato tutto e ancora non hanno tirato fuori il loro potenziale”, con queste parole pronunciate dopo il successo di ieri Zanardi ci lascia un insegnamento fondamentale. E se l’ha detto uno che nella vita le ha prese, ma è sempre uscito vincitore, gli possiamo credere.
Grazie Alex, non fermarti più e continua a tirar fuori tutto il tuo potenziale.