Per molto tempo si è discusso su quanto fosse corretto e veritiero annoverare Andy Murray nei cosiddetti Fab Four (i quattro indiscussi regnanti del tennis da un decennio a questa parte), con i risultati che conferivano al britannico uno status quasi intermedio, una posizione nel limbo tra i tre di un altro pianeta e il resto del gruppo. Con il tempo lo scozzese ha dimostrato che tale dicitura non era affatto sbagliata, con numerosi piazzamenti di rilievo, la conquista del numero 2 atp, della coppa Davis è dei primi tre Slam. Le ultime due stagione sulla terra battuta, a tal proposito, sono state l’emblema della completezza acquisita da Murray con il tempo.
Non si è mai parlato, però, di coloro i quali avrebbero potuto infastidire il dominio dei fab four, agevolati anche dagli infortuni di Soderling e Del Potro che hanno azzoppato due concorrenti sulla carta pericolosissimi. La vittoria di ieri a New York di Wawrinka riaccende invece il dibattito: l’elvetico merita di essere considerato nella cerchia dei campionissimi del ventunesimo secolo? I numeri sono dalla sua parte, la progressione di risultati è evidente, anche se deficita molto il rendimento annuale, che probabilmente non gli permetterà di superare mai la terza posizione mondiale.
Non c’è bisogno di giudicare l’appartenenza di Murray all’elite del tennis attuale, fatto che sembra abbastanza palese: coppa Davis, numero 2 atp, due ori consecutivi, tre slam e una costanza di risultati impressionanti testimoniano la straordinaria qualità dell’atleta. Con il successo di ieri, però, sembra giusto allargare la cerchia ad un quinto giocatore, Stan Wawrinka. I miglioramenti mentali conseguiti a partire dal 2013 sono clamorosi: le due partite in Australia e agli Us Open di quell’anno con Djokovic avrebbero potuto abbatterlo, invece lui ha saputo trarne il meglio, renendosi conto che con il suo livello avrebbe potuto vincere anche contro i più forti. La statistica delle vittorie nelle finali dei grandi tornei (tre su tre, contro il tre su nove di Murray) è spaventosa quanto esemplificativa, perchè evidenzia grande personalità e capacità di gestire i momenti che contano. Per quanto riguarda i colpi, non erano mai stati in discussione, anche se i miglioramenti al servizio e al diritto hanno contribuito a completare il suo gioco.
Qualche giorno fa un giornalista poco competente chiedeva a Wawrinka perchè, dopo due slam, stesse continuando a giocare. Stan ci ha messo una settimana per rispondergli sul campo. Non sarà un mostro di costanza (i risultati di questa stagione parlano chiaro) ma lo svizzero è riuscito nel compito più difficile, è stato in grado di sottolineare quanto il suo primo Slam non fosse casuale, vincendone altri due, per giunta diversi. A conti fatti ora è lui più vicino a completare il grande Slam rispetto a Murray, anche se sull’erba il suo gioco trova più difficoltà e Wimbledon tutt’ora risulta una chimera, vedendo le sue ultime partite sul verde. Ma Wawrinka è fatto così, è intermittente, ma quando si accende la luce diventa un problema per tutti. Basti pensare che con Evans al terzo turno è stato a un punto dalla sconfitta…
A 31 anni, senza nulla da perdere ormai, difficilmente lo vedremo cercare di migliorare la propria costanza di risultati. Lui è fatto così, è un uomo da grandi palcoscenici che si esalta quando è in difficoltà. E un altro Slam è un obiettivo fattibile.
Ora lo attendono festanti a San Pietroburgo, anche se molto probabilmente si cancellerà. “Ever tried. Ever failed. No matter. Try Again. Fail again. Fail better”, tenta, fallisci, non importa, ritenta, fallisci ancora, fallisci meglio: mai motto fu più azzeccato.