Editoriali

Il primo game è di Pep

Mi perdoneranno Juventus e Napoli se oggi preferisco parlare di Premier League. Perché, senza nulla togliere alla brillantezza mostrata da sabaudi e partenopei negli anticipi di ieri, la copertina principale di questo day after la merita il derby di Manchester, una delle partite più importanti di questi ultimi anni di campionato inglese ma, soprattutto, il match che – in questa stagione – coinvolge di più i calciofili di tutto il mondo.

Il motivo è semplice: non si tratta della sfida nella sfida tra due rivali cittadine che sono anche tra le otto/dieci squadre più forti e potenti del mondo, questo valeva anche negli scorsi anni. Adesso come adesso, il derby di Manchester è anche e soprattutto il rinnovamento della sfida eterna tra Mourinho e Guardiola, due dei tre o quattro migliori allenatori al mondo, perlomeno in questo momento. Anzi, è lo scontro tra i due più seri pretendenti alla palma del migliore in assoluto (anche se ci sarebbe pure un herr Carletto che probabilmente avrebbe da dire la sua, in proposito).

Siamo ancora alle prime battute stagionali, provare a tirare per i capelli sentenze definitive dopo così poche giornate ha poco senso, a maggior ragione commentando un torneo come la Premier League – bello rigonfio di pretendenti al titolo, sempre disponibile a sorprendere e tendenzialmente poco prevedibile (lo dimostra il Leicester dello scorso anno). Dunque eviterò accuratamente di farlo. Ciò nonostante, però, è innegabile che il primo game, dicendola tennisticamente, è andato a Guardiola. Game e non set perché – appunto – il peso di questa stracittadina mancuniana è parecchio ridimensionato dal periodo in cui è caduta: certamente la vittoria del City avrà degli strascichi sul morale dell’una e dell’altra compagine ma l’importanza dell’1-2 finale sull’economia del campionato non è granché, vista l’enorme quantità di tempo e partite a disposizione di Mou e dei suoi per ammortizzarne l’esito. Di contro, i Citizen possono godere oggi ma sanno perfettamente che siamo ancora alle fondamenta, è stato solo messo un mattoncino in più e la partita più importante è sempre quella di domani.

Dunque, tra i due duellanti – come li chiama Condò – stavolta ne è uscito vincitore Guardiola, capace di dominare per ampi tratti del primo tempo all’Old Trafford con una squadra che lavora con lui solo da qualche mese e che, tra Mancini e Pellegrini, non aveva mai praticato un calcio così studiato e organico. Mourinho, invece, s’è curato di assemblare nel minor tempo possibile una corazzata che possa imporsi in Inghilterra comprando alcuni dei migliori giocatori del globo, utilizzando così la ricetta tipica di chi vuol vincere subito. Il problema, però, è che quando si punta sopra ogni cosa sui valori assoluti come ha fatto Mou – che non ha considerato prioritario donare ai suoi una precisa identità tattica o non ci è ancora riuscito – allora sbagliare anche il più piccolo dettaglio nello schieramento o nella preparazione della gara diventa letale: il centrocampo a due con Fellaini e Pogba non ha minimamente retto l’urto degli Skyblues, prendendo schiaffoni finché il lusitano ha corretto il tiro con l’inserimento di Herrera. Ma non è bastato.

Come dicevo prima è ancora molto presto, non è con questa partita che si vince il titolo o si fallisce, ci mancherebbe altro. Però era il primo game di Premier con un peso specifico un po’ più alto della norma e Pep ha decisamente strappato il servizio al grande rivale portoghese. Nulla di definitivo, certo, però è un buon modo per iniziare a capire cosa potrà diventare questo City una volta che sarà a ranghi completi (ieri mancavano giocatori come Agüero, Gündoğan, Kompany) e avrà terminato di assimilare i dettami del catalano. E, onestamente, l’immagine che ne esce incute timore. E anche tanto.

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Giorgio Crico