Il 5 settembre 2016 sarà una data destinata a rimanere nella memoria, sportiva e non, di uno degli Stati dalla storia più controversa e sanguinosa degli ultimi 20 anni: il Kosovo. Ieri sera, infatti, la Nazionale di calcio kosovara ha partecipato per la prima volta a una gara valida per una competizione targata FIFA, le qualificazioni ai Mondiali del 2018, dando ufficialmente il via a un nuovo capitolo della propria storia contro la Finlandia: un evento straordinario, quasi impensabile fino a poco tempo fa, per un Paese diventato indipendente soltanto nel 2008 e ancora non riconosciuto da ben 78 Paesi appartenenti alle Nazioni Unite.
Al Veritas Stadium di Turku, però, la squadra allenata da Albert Bunjaku non si è limitata a fare presenza: il Kosovo ha tentato di giocarsela alla pari con una Nazionale esperta, anche se non più ai livelli di qualche decennio fa, come quella finlandese, riuscendo a conquistare addirittura un prezioso punto pareggiando per 1-1. Al momentaneo vantaggio dei padroni di casa con Arajuuri ha risposto la rete da calcio di rigore di Valon Berisha, centrocampista del Salisburgo la cui presenza è stata in dubbio fino a poche ore prima dal calcio d’inizio. Non per guai fisici o una classica indisponibilità: Berisha, infatti, ha dovuto attendere fino all’ultimo il pass della FIFA per poter giocare, un permesso che offre la possibilità a chi fa già parte di una Nazionale maggiore di “cambiare” e indossare la divisa di una squadra rappresentativa di uno Stato nuovo. La nascita di uno Stato è l’unica eccezione prevista dal regolamento della FIFA alla norma generale, che stabilisce l’obbligo per i calciatori di giocare per soltanto una Nazionale: come Berisha, la Federazione internazionale ha concesso il permesso ad altri otto giocatori per questa sfida, tra cui Alban Meha (Konyaspor), Amir Rrhamani (Dinamo Zagabria), Milot Rashica (Vitesse) e l'”italiano” Samir Ujkani del Pisa. Tutti giocatori che, per un motivo o per un altro, hanno indossato la divisa di un’altra Nazionale e che ora colgono al volo l’opportunità di rappresentare il Paese in cui sono cresciuti e che in molti casi, sono stati costretti ad abbandonare per la guerra.
Ieri sera, però, non si è assistito soltanto a una partita di calcio: Finlandia-Kosovo è stato anche un intreccio di storie, come quella di Ujkani, nato a Vučitrn e costretto a lasciare nel 1994, all’età di 6 anni, la propria terra per trasferirsi in Belgio; o quella di Meha, fuggito in Germania nel 1991 e nipote di Tahir Meha, attivista albanese morto nel 1981 e diventato uno dei simboli della battaglia di liberazione del Kosovo dal regime Jugoslavo; o, ancora, la storia del centrocampista del ChievoVerona Përparim Hetemaj, uomo-chiave della Nazionale finlandese ma nato a Srbica, che ha ottenuto il permesso dal commissario tecnico Backe di non giocare per rispetto del proprio Paese d’origine.
Il ricordo della guerra e dei massacri, vissuti in prima persona da una parte delle popolazioni balcaniche, ma fortemente sentiti anche dal resto dell’opinione pubblica occidentale attraverso i canali mediatici (il cosiddetto “CNN-Effect”), è ancora, tristemente vivo nella memoria di giocatori e tifosi. Le stesse difficoltà che la comunità internazionale sta affrontando nel processo di state-building, accentuate dal continuo accendersi di nuovi focolai tra la comunità albanese e serba, sono come un coltello che continua a scavare in una ferita già profonda e difficile da curare: come se, senza una vera pace e la formazione di uno stato a tutti gli effetti indipendente, i massacri e i bombardamenti fossero impossibili da superare del tutto.
Ma il percorso che attende nei prossimi mesi il Kosovo non sarà privo di altre difficoltà di ordine sportivo e questioni politiche che la FIFA dovrà saper affrontare per tempo: problemi come la partita contro l’Albania, da disputarsi a Pristina e che vedrà intrecciarsi ancora più storie rispetto alla sfida di ieri sera, data la forte presenza della comunità albanese in Kosovo; o la sfida contro l’Ucraina, uno degli Stati che ancora oggi non riconosce l’indipendenza del nuovo Stato, aspetto che potrebbe complicare un’eventuale sfida giocata in territorio ucraino. Così come sarà da definire nei prossimi mesi e anni la stessa rosa della Nazionale kosovara: quanti calciatori chiederanno un nuovo permesso alla FIFA e come si comporteranno giocatori più celebri come Shaqiri, Behrami, Xhaka o Cana, tutti nati in Kosovo ma già titolari di altre Nazionali?
Sono tante le delicate questioni politiche e sociali che le organizzazioni internazionali dovranno avere il coraggio di affrontare già durante queste Qualificazioni ai Mondiali 2018: ecco perché l’esordio della Nazionale di calcio del Kosovo in una competizione ufficiale non può che essere considerato, nella storia di un Paese ancora alla ricerca di una propria stabilizzazione interna, come un punto che faccia ripartire, con ancora più determinazione, a capo.