Parliamoci chiaro: indipendentemente dall’exploit tattico e fisico della Nazionale di Antonio Conte agli ultimi europei in Francia, l’Italia calcistica sta vivendo uno dei periodi più bui della propria storia sportiva. In particolare negli ultimi anni è mancata la fiducia, da parte delle grandi squadre, nei confronti dei giovani italiani. Grandi talenti in Primavera, difficoltà oggettive a emergere invece in contesti più competitivi e organizzati come la Serie A.
Sono d’accordo che un allenatore debba soprattutto lavorare con dogmi tattici ben precisi, plasmando la squadra a sua immagine e somiglianza. Il ruolo del selezionatore della Nazionale, però, è molto diverso e questo Conte lo sa molto bene, visto che è uno dei motivi che lo ha fatto “scappare” in Premier League. Non si allena tutti i giorni, ma soltanto per una settimana ogni due o tre mesi. Com’è possibile quindi modellare una squadra in così poco tempo? Conte ci è riuscito benissimo agli Europei con il materiale che aveva a disposizione, facendo leva sul blocco Juve e i due fedelissimi in attacco, ossia Eder e Pellè. Ma soprattutto è riuscito nel trasmettere quella voglia e quella cattiveria tipica del tecnico anche ai calciatori, che non hanno mai mollato in un singolo contrasto e sono stati eliminati soltanto ai rigori dalla Germania campione del mondo, mostrando uno spirito di sacrificio fuori dal comune per una squadra messa in piedi in poco più di un mese.
Quella Nazionale, però, poteva contare sul reparto difensivo più forte al mondo, anche solo per compattezza e abitudine a giocare insieme. Ma sarà così anche nel 2018, con due anni in più sul groppone per Buffon e compagnia? Difficile dirlo, perché quindi non fare affidamento sui talenti più puri del nostro calcio solo perché incompatibili con il modulo scelto da Ventura? Anche su questo, poi, andrebbe fatto un approfondimento a parte: il tecnico ex Bari e Torino ha spesso fatto affidamento sul 442 – con esterni particolarmente propensi a spingere – quindi tutto questo amore nei confronti della difesa a tre è figlio, con tutta probabilità, del segno di continuità che Ventura vuole giustamente tracciare rispetto al suo predecessore. Sintomo di intelligenza, e su questo non serviva certamente la mia conferma, ma già le occasioni per stare insieme in una Nazionale sono molto risicate, figuriamoci se poi si decide anche di lasciare a casa i vari Berardi, Insigne ed El Shaarawy.
Nulla di preoccupante, specie perché Ventura ha quasi già fatto retromarcia nella conferenza stampa successiva a quella che aveva suscitato così tante polemiche proprio per il fatto di voler rinunciare “per principio” agli attaccanti esterni perché non previsti nel 352. Siamo ai limiti del processo alle intenzioni, ma Ventura quelle parole le ha pronunciate e, da tifoso di questa rappresentativa, non posso che sbarrare gli occhi al solo pensiero di non vedere protagonisti Berardi, Insigne, El Shaarawy e probabilmente anche Bernardeschi ai prossimi Mondiali. Specie perché agli azzurri, lo si è notato anche ieri, manca sempre qualcuno in grado di dare imprevedibilità e cambio di passo alla manovra.
I talenti italiani, come detto nella lunga premessa di cui sopra, faticano a sbocciare e non siamo, al momento, una fucina di talenti paragonabile alla scuola tedesca, spagnola e francese. Berardi non sarebbe stato convocabile per infortunio, Insigne viene probabilmente dal mese più difficile della sua carriera ed El Shaarawy, sino adesso, ha sempre perso i ballottaggi con Salah e Perotti nella Roma: il momento di forma precario, quindi, ha convinto Ventura a provare strade alternative – e più sicure – in vista dell’impegno con Israele. Ma siamo sicuri che è la strada per giusta per avere qualche chance di andare lontano nel Mondiale 2018?