Esclusiva Mp.it-Ricardo Sanchez:”Santillan ha tutto per diventare grande”
Dall’alto della sua esperienza, sia in campo femminile che maschile, Ricardo Sanchez rappresenta una guida tecnica di assoluto rilievo per un giovane tennista che ha bisogna di crescere gradualmente come il nipponico Akira Santillan. Ex coach di Wozniacki, Jankovic, Petrova, Verdasco, Davydenko e tanti altri, Sanchez ha aperto una scuola ad Almeria, dove si allena appunto il numero 240 del mondo, giapponese ma con passaporto australiano. Durante il challenger di Manerbio, nel quale il suo adepto ha perso all’esordio contro il futuro finalista Filip Krajinovic, Sanchez ha scambiato qualche impressione riguardo a Santillan ed al tennis in generale.
Quali sono le caratteristiche di Akira? Perchè hai deciso di puntare su di lui?
E’ un ragazzo dal grande potenziale, a livello giovanile ha ottenuto risultati importanti, tanto da raggiungere la settima posizione mondiale. Ha un diritto performante, col rovescio sa variare e serve decisamente bene. Oltre a questo, è molto forte sul piano fisico, qualità che nel tennis odierno conta e non poco. Sono fiducioso sul suo futuro, soprattutto perché si trova in un periodo dove i dominatori dell’ultimo decennio stanno calando e presto presumibilmente si ritireranno, lasciando spazio a una serie di giovani promesse, come Coric, Kyrgios, Zverev ad esempio. Santillan, anche per una questione anagrafica, è ancora un passo indietro a loro, ma ha tutto per scalare la classifica e giocare con costanza i tornei di maggior prestigio.
Come funziona la tua scuola ad Almeria?
E’ una scuola giovane, avevamo sotto la nostra egida quattro atleti, ora ne abbiamo soltanto uno. Giocando tutte le settimane è complesso trovare l’amalgama giusta tra i tuoi allievi per quanto riguarda l’allenamento, poi alcuni sono costretti a fare un certo tipo di programmazione e non è facile seguirli tutti. Mi sorprende ancor di più, a tal proposito, i progressi che ha fatto Akira in così breve tempo. Quest’anno ha giocato 33 partite sul veloce e ne ha perse soltanto 3. Ora gli ho consigliato di alzare il livello, passando dai Futures ai Challenger, e di giocare sul rosso per migliorare ulteriormente. Questo (Manerbio, ndr) è il quarto torneo e Akira ha già dimostrato di poter essere competitivo anche nei Challenger, con i quarti di finale a Trnava e altri buoni risultati a Meerbusch e a Segovia. Ha iniziato la stagione oltre la millesima posizione, ora è 240.
Quale sarà la sua programmazione per quanto ne concerne il finale di stagione?
In autunno Akira si focalizzerà sui challenger al coperto europei, superficie a lui più consona. Stiamo cercando di ottenere una wildcard al 250 di Shenzhen in Cina e al 500 di Tokyo (gli organizzatori l’hanno poi data a Del Potro, ndr)
Akira è un congiunto di diverse culture. Come mai ha smesso di rappresentare l’Australia?
Gioca per il Giappone, anche se ha origini australiane e spagnole. Non gli ho mai chiesto il motivo del suo addio al paese oceanico, per il quale ha anche giocato per un breve periodo; probabilmente agli australiani non fa piacere che anche il padre di Akira, che fa l’allenatore, fosse parte integrante dello staff, restìo ad accogliere elementi esterni. Non credo invece ci siano state particolari divergenze tra le parti in causa.
Hai avuto modo di vivere sia il mondo Wta che quello Atp. Quali sono le principali differenze?
Il circuito femminile è caratterizzato da alti e bassi umorali che condizionano le prestazioni. E’ sicuramente più difficile allenare una ragazza, non tutti hanno le qualità per farlo. Dal mio punto di vista, è imprescindibile, quando si ha a che fare con una giocatrice, entrare dalla porta sul retro, per evitare delle fragorose cadute che compromettono la bontà del rapporto. Pretendere risultati subito non aiuta affatto. Inoltre il tennis maschile è più ragionato, dipende anche dai vari momenti di un incontro, mentre le donne pensano più a spingere la palla che a modificare il loro gioco. E questo fa sì che ci siano atlete come Muguruza che vincono il Roland Garros ed escono poi al torneo successivo con la numero 160.
Hai allenato Wozniacki, giocatrice da sempre accompagnata anche dal padre. Quanto può influire la presenza costante e attiva dei familiari?
Con Caroline Wozniacki è stata dura lavorare perchè dopo due mesi suo padre ha preferito cambiare guida tecnica. Così è impossibile progettare qualcosa sul lungo termine ed ottenere risultati, infatti la danese ha continuato a stentare senza vincere nulla di importante. Non ha evoluto il suo gioco e facendo sempre le stesse cose poi le avversarie trovano le misure per affrontarti.
Quali sono le modifiche che proporresti all’Atp?
A mio avviso dovrebbero migliorare alcune questioni logistiche, soprattutto nei tornei inferiori. Quando sei giovane, fai un investimento su te stesso, spesso molto rischioso. Sarebbe opportuno che in tutti i tornei ci fosse l’ospitalità garantita, prima ancora che un aumento dei montepremi. Per il resto il circuito è una macchina che funziona bene, per quanto mi riguarda. In molti mi considerano un allenatore da Wta, ma ho cominciato con i maschi, come Carretero, Davydenko, Massu, per cui credo di avere esperienza anche nell’Atp. E, onestamente, amo di più il tennis maschile rispetto a quello femminile, è più vero, diretto, anche nei rapporti tra i vari giocatori.