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Il Gran Premio di Monza nella storia: Spoon River a Villa Reale

La modifica delle normative sulla sicurezza e la ricerca di nuovi mercati che possano ampliare l’indotto economico negli ultimi 30 anni hanno profondamente mutato la geografia della Formula 1, un tempo quasi esclusivamente “Eurocentrica”. Il calendario ha registrato l’ingresso di competizioni organizzate in luoghi mai toccati prima dal Circus che hanno progressivamente sostituito Gran Premi considerati storici, in virtù di una tradizione le cui radici spesso affondano nelle origini stesse di questo sport. Monza appartiene a quest’ultima categoria e le ultime indiscrezioni circa un accordo con Bernie Ecclestone per il rinnovo della licenza sembrano suggerire che la storia del circuito brianzolo sia destinata a proseguire anche in futuro.

Costruito nel 1922 per volontà dell’Automobile Club Italiano, l’autodromo mostrò subito due elementi che lo avrebbero caratterizzato, arrivando sovente a metterne a repentaglio l’esistenza, fino ai giorni nostri: la velocità e l’ubicazione.Il circuito di Monza, fin dalla sua edificazione, offre una suggestiva panoramica grazie alla sua collocazione in prossimità della Villa Reale. Il progetto originale dovette confrontarsi proprio con la necessità di non alterare eccessivamente la flora circostante e, anche oggi, le proteste degli ambientalisti obbligano i gestori a non intervenire con modifiche che potrebbero rovinare un patrimonio naturale unico al mondo.

La configurazione iniziale, con anelli e due curve sopraelevate, spinse immediatamente i piloti a spingere le vetture oltre il limite. Questo desiderio ha rappresentato l’inchiostro con cui sono state scritte pagine leggendarie dell’automobilismo. In alcune occasioni si è però affiancato a esso il tragico palesarsi di un Fato che ha fornito alla pista un elenco di nomi, di volti e di vite che resteranno ad essa per sempre legati, come in una novella Spoon River.

Emilio Materassi, la cui vettura impazzita nel 1928 si schiantò sul pubblico radunato ai margini della pista, causando una ventina di morti. Una dinamica destinata a ripetersi a oltre 30 anni di distanza, nel 1961, quando Wolfang Von Trips, il Barone Rosso della Ferrari, a seguito di una collisione con Jim Clark non riuscì a controllare la monoposto, che venne catapultata oltre le reti di protezione, uccidendo una quindicina di persone, oltre al pilota tedesco. Nel corso di quel giro Giancarlo Baghetti, al suo primo anno in Formula 1, fissò il record della pista e il giro più veloce della sua carriera, fondendo però dopo pochi chilometri il motore della sua Ferrari 156. Un primato scaturito involontariamente dal dramma appena consumatosi, poiché, come lui stesso raccontò anni dopo, nel momento in cui percepì una sagoma nera roteargli sopra la testa, automaticamente spinse il piede sull’acceleratore, come un bambino che voglia scappare da una minaccia percepita nel buio. L’ombra che lo superò altri non era che la vettura di Von Tripps, destinata a concludere il suo volo sugli spettatori radunati sul prato.

Altri piloti hanno concluso la propria corsa sull’asfalto dell’autodromo lombardo. Furono ben tre le vittime che funestarono l’edizione del 1933, in un macabro ripetersi del numero 3. Giuseppe Campari, vittima di una macchia d’olio sulla pista e schiantatosi in un fosso, Borzacchini che, a causa della stessa macchia d’olio, sbandò e uscì di pista e infine, a poche tornate dal termine, il polacco Stanislas Czaykowski. Benito Mussolini, all’epoca Capo del Governo, fece pervenire tre corone in ricordo degli sfortunati piloti e fu quasi una strana burla del destino per Borzacchini, chiamato Bakunin – o Baconin, come riportato su alcuni documenti – da un padre fervente anarchico e in seguito rinominatosi Umberto in onore del futuro Re d’Italia, lasciare questa terra accompagnato dalle parole “Il Duce per Borzacchini”.