Editoriali

Una sconfitta annunciata

È sempre facile parlare a posteriori, tuttavia questa volta c’era la sensazione netta che le cose potessero andare esattamente come sono andate. La Roma di Spalletti esce dalla Champions League ancora prima di iniziare a giocarla veramente, per mano di un Porto con buone qualità ma che, almeno sulla carta, non avrebbe dovuto rappresentare un ostacolo insormontabile per una squadra come quella giallorossa. E così il vero obiettivo stagionale, al di là della retorica che obbligherà l’ambiente romanista a rivalutare una competizione di secondo piano come l’Europa League, è già fallito ad agosto: uno scenario visto e rivisto da molte squadre italiane.

Negli ultimi sette anni, infatti, soltanto il Milan versione 2013/2014 ha passato il turno: la Sampdoria cadde contro il Werder Brema facendosi raggiungere nel recupero, l’Udinese perse due volte di fila contro Arsenal e Braga, mentre Napoli e Lazio negli ultimi due anni sono usciti rispettivamente con l’Athletic Club e il Bayer Leverkusen. Praticamente un bollettino di guerra da cui il calcio italiano esce pesantemente indebolito, visto che l’obiettivo è stato fallito a discapito di squadre inglesi, tedesche, spagnole e portoghesi. Non un biglietto da visita eccezionale in vista della rivoluzione che verrà attuata in Champions League, con il nostro paese che potrebbe essere rappresentato da una quarta squadra per meriti extra sportivi.

Senza tirare fuori vicende vecchie di anni, però, qual è la motivazione principale della sconfitta di ieri sera contro il Porto? La mancanza di programmazione, ancora prima dei colpi di testa di De Rossi ed Emerson Palmieri. I problemi della Roma, nella passata stagione, erano essenzialmente due: la tenuta difensiva, che ha mostrato lacune in più occasioni, e la mancanza di un centravanti di livello mondiale che convertisse in rete le (tante) occasioni da gol create da centrocampisti ed esterni. In più la partenza di Pjanić avrebbe dovuto portare all’arrivo di almeno un centrocampista ma il bosniaco è stato di fatto sostituito dal ritorno in giallorosso di Paredes: l’ex Empoli, però, nasce regista davanti alla difesa e alla Roma, in quel ruolo, c’è un certo De Rossi. Difficilmente l’argentino giocherà, quindi, con la continuità che talento ed età farebbero immaginare in molte altre squadre italiane.
Andiamo per gradi: a livello difensivo sono arrivati, in fascia, Bruno Peres e Mario Rui. Il secondo non è giudicabile per via dell’infortunio, ma il brasiliano è un terzino atipico perché spinge tanto ma lascia a desiderare in fase di copertura. Al centro, invece, ecco arrivare Juan Jesus, Fazio e Vermaelen; una riserva dell’Inter, uno reduce da 24 partite nelle ultime due stagioni e uno scarto del Barcellona (11 presenze nella Liga dal 2014 al 2016). E in attacco, nemmeno a dirlo, c’è sempre Džeko con Perotti come alternativa tattica di lusso.

Serviva un mercato diverso: un difensore di livello internazionale che affiancasse Manolas, una mezzala in grado di andare a coprire il buco lasciato da Pjanić (senza snaturare Paredes in un ruolo non suo) e un centravanti da 15-20 gol a stagione, magari meno di manovra come Džeko ma più realizzatore puro. Il preliminare di Champions League, invece di essere preso come un appuntamento a cui arrivare già pronti, è stato considerato come un evento da cui sarebbe potuto iniziare il vero mercato della Roma. In pratica la dirigenza giallorossa ha deciso di non scommettere sulla propria squadra. Col risultato che, adesso, i trenta milioni (e i relativi rinforzi) della Champions non arriveranno e, con una Juventus così, tutti i veri obiettivi stagionali possano essere soltanto un ripiego (Europa League) o irraggiungibili (scudetto). Il tutto condito con una piazza tra le più esigenti d’Italia e un ambiente pronto a esplodere al primo incidente di percorso in campionato. Buona fortuna, Spalletti.

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Alessandro Lelli