Editoriali

Lasciamoli lavorare

È tornata la Serie A.

Ci era mancata: dopo tanto parlare e calcio estivo – tournée inutili e amichevoli con zero intensità – abbiamo finalmente ripreso a goderci il nostro campionato. Con pregi e difetti: polemiche, sfottò lunghi un’estate (ma Higuaín non era troppo grasso?) ma anche bei gol e partite ricche di emozioni.

La curiosità più grande, avendo la Roma già mostrato le sue carte nell’andata del preliminare di Champions League, riguardava il Napoli di Sarri. Il nuovo Napoli di Sarri, meglio: il dopo Pipita non lo costruisci in un giorno e tutti hanno visto il cartello lavori in corso. Il pari dell’Adriatico va pure bene agli azzurri, per come s’era messa: da situazione di 2-0 pescarese all’intervallo, un doppio Mertens ha salvato la situazione, lanciando nuovi interrogativi sul suo utilizzo futuro. Circa il belga, siamo sempre lì: titolare o carta da giocarsi a partita in corso? Che l’ex PSV entri e segni non è una novità, ma forse è il caso che il tecnico del Napoli – cui manca un rigore, va detto – faccia le sue riflessioni: non ha bisogno dei nostri consigli, però glielo diciamo lo stesso.

Nelle altre sfide, il campionato ci ha raccontato instabilità, gioie e dolori di Milano. Le squadre della Scala del Calcio non stanno bene e partire bene era importante se non altro a livello psicologico: promosso (con carenza) il Milan, salvato in extremis da Donnarumma e già con 3 punti in saccoccia, male la prima Inter di de Boer, riportata alla realtà dal ChievoVerona e da Birsa. Squadra ostica, ben organizzata, brutto cliente specialmente al Bentegodi, ma naturale che anche in casa nerazzurra il cantiere sia aperto: il club del Suning Holdings Group non ha vissuto un’estate qualunque a livello societario oltre che tecnico e l’allenatore olandese ha bisogno di tempo per plasmare la sua squadra. Capire di chi può fidarsi, adattare rosa e giocatori alla sua idea di calcio, ma anche dimostrare pragmatismo e adattarsi lui stesso alla Serie A: l’importante è che lo si lasci lavorare in pace. Da evitare, completamente, il trattamento Benítez, perennemente aspettato al varco dai parrucconi della critica durante gli anni italiani: a differenza del calciatore, il tecnico straniero è merce rara dalle nostre parti e siamo bravissimi, come immaginario collettivo e paese, a criticare chi viene da fuori. Per partito preso. Perché ha osato venire a lavorare nella patria dei tecnici più bravi del mondo: auguri, Frank.

È chiaro, in generale, che a tutti e 20 gli allenatori serva del tempo. Non sono bastate le amichevoli né – per chi l’ha già giocata – la Coppa Italia a creare automatismi e cementare gli schemi; né è una casualità l’alto numero di gol realizzati: se il 6-4 di Siviglia-Espanyol ha fatto storcere il naso ai puristi del calcio tattico e difensivamente efficace, non è andata (molto) meglio alla difesa dell’Udinese (travolta all’Olimpico, nonostante qualche dubbio). E gli stessi pirotecnici 3-2, 3-4, 3-1 e 2-2 di Milano, Bergamo, Genova e Pescara ci dicono che tutti hanno bisogno di allenarsi e allenare: lasciamoli lavorare, verrà dopo la stabilità.

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Matteo Portoghese