Home » Nel nome del padre

Una rivalità nel nome del padre, sì.
Michael Phelps e Chad Le Clos probabilmente non lo sanno nemmeno, ma la loro rivalità in vasca è nata anche grazie al rapporto con i loro padri.

Chad, il sudafricano che vincendo i 200 farfalla a Londra 2012 è stato il primo a far arrabbiare davvero il mostro americano, ha avuto un ottimo rapporto col padre. Fin da quando era bambino, il padre trovava sempre il modo e il tempo di portarlo ad allenarsi. Impresa non così semplice come si possa pensare, visto che il nuoto in Sud Africa non è assolutamente considerato come sport di rilievo nazionale e le piscine sono al più sporche e con acqua non riscaldata. Ma Chad, anche grazie alla costanza del padre, è riuscito ad andare oltre agli ostacoli, è riuscito a diventare un nuotatore professionista, è riuscito a battere Phelps all’ultima bracciata a Londra 2012, nella gara preferita dall’americano. E dopo aver vinto ha guardato in tribuna e ha trovato il padre, pazzo di gioia per aver cresciuto un figlio aiutandolo a diventare campione olimpico a spese di Micheal Phelps, l’immortale.

Immortale, sì, ma fragile. Michael Phelps ha avuto due padri, non uno solo. Il primo, quello biologico, aveva intuito la passione del suo bambino per il nuoto, ma placava la sua sete di allenamenti consigliandogli di andare due-tre giorni al mare ogni settimana, per interrompere lo stress e la pressione da competizione. Il secondo è in realtà il suo allenatore, che, dopo il divorzio tra i genitori del piccolo Micheal, prese in mano la situazione e trasformò un bambino portato per il nuoto a diventare il più grande di sempre. È stato molto più di un allenatore, è stato praticamente un padre. E l’ha aiutato a canalizzare in piscina tutta la rabbia cresciuta dentro sé per la scomparsa della figura paterna dalla sua vita.

Ma poi arriva Rio 2016. E come ci sono arrivati Chad Le Clos e Michael Phelps? Male entrambi, e solo uno ne è uscito vincitore.
Il sudafricano è arrivato a queste Olimpiadi senza genitori al seguito, impegnati a combattere battaglie ben più importanti di una medaglia olimpica. Chad ha detto di non essersi mai allenato così tanto, ma allenarsi con la testa libera è un conto, farlo con tuo padre e tua madre che lottano per la vita è un altro.
Phelps, se possibile, ci è arrivato anche peggio. O meglio, era partito peggio: dopo Londra ha avuto un paio d’anni discutibili, diciamo così, conditi da utilizzo di droghe, alcol, ritiro della patente per guida in stato d’ebrezza, festini hard e via discorrendo. Dopo una ovvia squalifica da parte della federazione di nuoto americana è tornato e ha deciso di riprendere in mano la sua vita. Ha ricominciato a parlare con il padre, è diventato padre lui stesso, si è innamorato di nuovo dell’acqua e delle vasche, ha ritrovato la gioia della competizione.

I 200 farfalla questa volta, come testimonia la foto di questo editoriale, sono finiti in maniera diversa e quella medaglia d’oro ha contribuito a far diventare Michael Phelps immortale per davvero: con gli ori conquistati a Rio 2016 Phelps è arrivto a quota 13 ori in specialità individuali, superando il record di tale Leonida da Rodi, che nel 152 Avanti Cristo aveva conquistato il suo dodicesimo oro nella sua quarta Olimpiade.
Duemilacentosessantotto anni dopo è arrivato lui, è arrivato Michael Phelps. Prima bambino prodigio, poi fenomeno, poi maturo, poi risorto, poi padre. O più semplicemente, in una parola sola, immortale.