La vera sfida è adesso
Faccio coming-out: non disdegno le finali per il terzo posto. Avrei voluto ce ne fosse una a Euro 2016.
Credo di essere, in questo, una mosca bianca; i più le definiscono inutili – perché infliggono un’ulteriore umiliazione a chi già è uscito con le ossa rotte dalle semifinali – e le reputano null’altro che amichevoli di lusso.
Avranno anche ragione, ma nulla mi vieta di pensare che quando arrivi tra le prime e sei una sorpresa – come Svezia e Bulgaria nel 1994, o l’Inghilterra femminile lo scorso anno – poi di restare qualche giorno in più sul luogo del delitto hai pure piacere, per alimentare in qualche modo un sogno. Dare continuità al momento: negli almanacchi i terzi posti ci vanno eccome e una partita in più a volte è anche un onore.
Di questo avviso credo che siano i gallesi, quest’estate: in pochissimi li avrebbero pronosticati tra le semifinaliste, pur in una formula aperta a sorprese col passaggio delle migliori terze, oltre alle prime e alle seconde. E nonostante Gareth Bale, campione dalle nostre parti (troppo) spesso sminuito, per via di un prezzo mai accettato per un calciatore che si era visto solo in Inghilterra; e nonostante Aaron Ramsey, campione vero: sì, quello che “fa morire” i VIP, secondo un fastidiosissimo e ormai poco divertente tormentone social.
Lui, il centrocampista dell’Arsenal, completo sul piano tattico, tecnico e caratteriale: verrebbe da chiedersi quanto “valga”, in tempi di ipervalutazioni e prezzo gonfiati, ma dubito che dalle parti dell’Emirates ne stiano valutando la cessione. Troppo completo e troppo “vero”, nonché carismatico: se c’è qualcuno di cui Arsène Wenger può e deve fidarsi per (ri)trovare un Arsenal vincente, questo è il ragazzo di Caerphilly.
Proprio l’assenza di Ramsey, vero faro del gioco insieme a un Joe Allen spesso sottovalutato in questi anni al Liverpool, ha frenato il Galles nella semifinale di Lione, per la capacità sua di essere allo stesso tempo fulcro del gioco e trascinatore sul piano del carattere. Vien da pensare all’hashtag #seceranedved, tra serio e faceto: se è vero che l’assenza di un singolo non è mai alibi, c’è singolo e singolo e a quei livelli lì siamo. Ecco: già erano poche le speranze del Galles, figurarsi se privo di uno dei suoi due uomini migliori. Il più importante, per certi versi.
Ma la banda di Chris Coleman è anche altro, a partire dal pacchetto difensivo. Un’impressionante sensazione di solidità, coerenza, applicazione e abnegazione totali; valori tecnici importanti, anche: di capitan Williams – che noi chiameremmo oriundo – si parla benissimo da anni in Premier League e non a caso Brendan Rodgers, ai tempi del Liverpool, lo seguì a lungo.
Rimanere in provincia ha aiutato il centrale difensivo dello Swansea. E non va sottovalutata l’utilità di avere una squadra stabilmente a suo agio nel campionato inglese. Non ce ne era una, per esempio, ai tempi di Ian Rush, né a quelli di Ryan Giggs, forse l’unico gallese paragonabile – come talento e notorietà – al Bale attuale. E varrebbe magari la pena, penseranno in Scozia, dimenticare la tradizione e concedere a Celtic e Rangers l’agognato approdo ai campionati inglesi: ma questo è un altro discorso, la butto solo lì.
Oltre ai fuoriclasse, ai solidi e silenziosi, a una difesa coralmente focalizzata sull’obiettivo, la sapienza tattica e il pragmatismo del commissario tecnico. Che raccoglieva la pesante eredità – sul piano emotivo e psicologico – di Gary Speed morto suicida il 27 novembre 2011, che ha confermato nel football continentale che le altre Home Nations producono tecnici migliori rispetto alla casa madre inglese.
Mi piace allora pensare che questo bell’Europeo sia anche un po’ di Speedo. E che non sarà un fuoco di paglia: la sfida per il Galles viene adesso e parte dalle qualificazioni alla Coppa del Mondo.
Perché di storie belle e imprese isolate la storia è piena: la vera impresa è dare continuità e restare stabilmente nel calcio d’élite, anno dopo anno. Proprio come fa in Premier League il piccolo Swansea.