Més que un club, è la scritta che campeggia sugli spalti del Camp Nou di Barcellona, tempio dei blaugrana massima espressione a livello di club della scuola calcistica spagnola. È proprio questo motto che sembra oggi calzare a pennello alla Nazionale italiana guidata da Antonio Conte. Sì, perché più passano i giorni, più il gruppo ha il tempo di lavorare, e più la nostra selezione diventa una vera squadra.
Veder giocare gli azzurri è uno spettacolo per gli occhi perché, nel giro di pochissimo tempo dal raduno, un insieme di elementi che separatamente valgono una cifra tecnica modesta, hanno dimostrato di poter diventare, grazie alle sinergie create da Conte, molto più forti rispetto alla semplice somma dei singoli valori individuali.
È ora a tutti evidente che il vero fuoriclasse di questa Nazionale sia il commissario tecnico, perché se è vero che il suo passato dovrebbe parlare per lui, è altrettanto vero che in molti avevano già dimenticato (o fatto finta di dimenticare) cosa Conte sia stato in grado di creare anche con risorse scarse (citofonare Juventus 2011-2012).
Un’Italia così amalgamata a livello tattico non si vedeva dai tempi di Arrigo Sacchi (vecchio maestro del nostro attuale allenatore) e, probabilmente, un’intensità fisica così alta non si è mai vista. Senza dimenticare che il calcio proposto dal tecnico salentino è offensivo, veloce e (anche se solo a tratti, visti i limiti tecnici della rosa) spettacolare.
Poter osservare gli azzurri e poterli, in tempo reale, paragonare alle altre selezioni impegnate nella rassegna continentale, pone un’evidenza a tratti imbarazzante sulla differenza tra le Nazionali impostate in modo tradizionale e la nostra; perché la nostra, con il trascorrere dei giorni, sembra sempre meno selezione e sempre più club.
Crescono gli automatismi, cresce l’autostima, crescono i legami all’interno del gruppo, si esalta la personalità del CT, il suo essere martello a livello psicologico e motivazionale, stratega a livello tattico, ottimo preparatore dal punto di vista fisico, autentico trascinatore del gruppo, capace di tirar fuori più del meglio da ognuno dei suoi uomini.
Sperando (ma forse no) che nessuno degli azzurri legga questo articolo (perché altrimenti rischieremmo di essere scagliati lontano da Conte, come il malcapitato pallone transitato davanti alla sua panchina), possiamo dire che l’Italia è già andata ampiamente oltre i pronostici operati dalla larga maggioranza di tifosi e addetti ai lavori.
In tanti si aspettavano un faticoso passaggio del girone (più di qualcuno aveva aspettative anche maggiormente pessimistiche), pochi credevano che la Nazionale potesse avere la meglio sul Belgio, probabilmente (quasi) nessuno alla vigilia degli Europei avrebbe scommesso un centesimo sulla lezione impartita ai campioni uscenti della Spagna.
Questa Italia è sempre più lontana dal concetto classico di Nazionale e sempre più vicina all’essenza di un club, ma con qualcosa in più, con quell’emozione e quel brivido che ognuno di noi appassionati di calcio (e siamo convinti anche dei nostri calciatori) sin da bambino si porta dentro quando sente risuonare l’inno nazionale; è per questo che l’Italia di Conte è diventata més que un club.