Francia 2016 – La Svizzera a un passo dal diventare adulta
A casa alla prima partita a eliminazione diretta: ancora una volta, l’ennesima in 78 anni di partecipazioni ai tornei internazionali. Peccato, perché ci credevano in molti, a nord del Monte Olimpino, che questa sarebbe stata la volta buona della prima vittoria rossocrociata in una fase “dentro o fuori”. Ora, con il ritorno della Nati in patria, è il momento delle analisi, di capire cosa c’è, e cosa manca ancora, per fare il salto di qualità definitivo.
Serve migliorare nei venti metri finali; serve un centravanti, quello che il vulcanico Armando Ceroni della RSI ha definito in sottocenerino “brocc chel segna“. Non un fenomeno, ma uno che digrigna i denti, che fa a sportellate con il centrale avversario, senza stile, che la tocca di coscia, di caviglia, di orecchio: ma, sotto porta, un cobra, sangue freddo, rapidissimo e spietato. Armando, che la sa lunga, direbbe che “Un gol cancella fette di partita che non ti immagini.”
E, del resto, non è che le altre siamo messe benissimo: la corazzata tedesca, per dire, per il ruolo si è portata dietro Mario Gomez, che non è uno di primo pelo. Il lavoro del centravanti è uno dei più difficili: servono maturità, concretezza, saggezza tattica, senso della posizione, decisione e quel pizzico di irresponsabilità che ti consente di essere impermeabile alle pressioni: Haris Seferović ha tante buone qualità, ma non è ancora un cobra, fulminante e, soprattutto, letale, dal punto di vista del carattere.
Avremo mai una Svizzera completa, dove undici uomini rossocrociati siano, tutti, in grado di essere mediamente più bravi degli altri undici contrapposti a loro? Questa è la domanda che si fanno tutti i commentatori, oggi. Col gioco si è fatto tanto, negli ultimi anni, e una rete come quella di Shaqiri alla Polonia è segno, anche, di un tasso di qualità individuale, in più di un interprete, che fa ben sperare per il futuro. Ci vuole, tuttavia, pure un cambio di mentalità: il salto di livello qualitativo va fatto, soprattutto, nella testa: così diceva Mauro Antonini di TeleTicino.
Il primo tempo con la Polonia non è stata la partita di una squadra convinta di poter passare il turno, ma quella di un gruppo convinto di avere già dato abbastanza. Invece, per raggiungere altri traguardi, si deve avere una testa diversa, e non pensare di essere lì per sbaglio: l’Islanda può permettersi di giocare le partite della vita; la Svizzera deve, invece, entrare in un’ottica dove giocare a questi livelli è normalità. Può esserci l’anno sfortunato, l’episodio: ma la testa, deve essere quella di chi è ospite fisso, non di chi si trova imbucato in una festa, grazie all’invito racimolato con i punti delle merendine.
Più di un giornalista, poi, ha voluto mettere in risalto l’aspetto anche umano e, perché no, sociale di questa squadra, formata, per la maggior parte, da giocatori naturalizzati o immigrati di seconda generazione. Intendiamoci, si tratta di una costante in moltissime realtà: ma, in Svizzera, in molti storcono il naso davanti a ragazzi che non cantano l’inno, o che non parlano svizzero tedesco. L’immagine di Lichtsteiner che si è tolto l’auricolare durante una conferenza stampa, mentre Shaqiri parlava in albanese con un giornalista proveniente dal Paese delle Aquile, è ancora negli occhi di tutti.
Ecco, sotto questo aspetto, secondo tanti, è stato fatto un grande passo avanti: è venuto fuori, da parte di tutti, un orgoglio e un attaccamento alla maglia che, magari, qualcuno non si aspettava. E che ha conquistato il cuore della maggioranza del Paese: non solo quello delle grandi città, multietniche da lustri; anche quello delle campagne e delle valli, insomma degli svizzeri autoctoni (almeno di una parte), quelli dei no ai referendum, della Landsgemeinde.
Le lacrime di Behrami, che conosciamo bene anche qua nella Penisola (ha trascorsi napoletani, come ricordiamo), ticinese adottivo con residenza a Stabio, consolato da Casolini, o la grinta con la quale Džemaili (altro ex Napoli) ha affrontato Lewandoski che sbeffeggiava i tifosi rossocrociati, sono stati un segnale forte. Questo, probabilmente, è il lascito più grande di Euro 2016 per i nostri vicini: la Svizzera è pronta, come la Svezia, per il suo Ibrahimović, se dovesse arrivare. E, se così sarà, i rossocrociati diventeranno ingombranti per tutti.