Dovevano (più o meno) vincere. E invece…
Quando Quaresma (Quaresma! Quanto è ironico tutto ciò?) ha segnato il gol partita a 3’ scarsi dai rigori regalando il passaggio del turno al Portogallo, mi sono sorpreso a pensare con insistenza a quel coro da stadio non troppo raffinato ma singolarmente efficace che si canta ai tifosi avversari dopo una partita vinta contro i favori del pronostico o, semplicemente, per prendere in giro l’aspettativa di vittoria dei dirimpettai sconfitti. Lo conosciamo tutti e tutti l’abbiamo cantato almeno una volta anche fuori dal contesto del campo da calcio.
Ma perché mi è venuto in mente? Semplice, perché questa Croazia, perlomeno sulla carta, sembrava avere tutto per arrivare in fondo: il talento, l’intesa consolidata tra i giocatori, l’esperienza internazionale di gran parte della rosa, il girone vinto a scapito della Spagna guadagnando il lato più morbido del tabellone finale, il plauso di una certa critica calcistica sofisticata e trendy che, per fare la voce fuori dal coro un po’ hipster ma a ragion veduta, ha indicato nei balcanici la propria favorita a scapito delle più banali Germania, Francia o Spagna. Ma più di tutto ciò, erano gli stessi croati a credere di poter seriamente competere per il podio e magari il successo finale – dichiarazioni prudenti e circospette di Šuker che incoronava la Croazia attuale come la più forte mai vista, anche migliore della sua a Francia ’98, comprese.
E invece niente, ai quarti ci va il Portogallo di un Cristiano Ronaldo non trascendentale le cui veci di match winner sono state svolte dal Quaresma di turno con il gol che, probabilmente, riscatterà per sempre la sua immagine presso i tifosi della Seleção lusitana, i quali non l’hanno mai particolarmente amato (a parte i più coriacei sostenitori del Porto, ovviamente).
Difficile pensare che potesse uscire già agli ottavi ma che a questa Croazia mancasse qualcosa l’avevamo già notato in occasione della seconda partita del girone, nella quale i talentuosi Vatreni si sono fatti rimontare due gol di scarto nel finale dai combattivi ma decisamente inferiori cechi. L’avevamo chiamata ingenuità ma la gara di ieri sera ha gettato una nuova luce sui balcanici, aiutandoci a capire meglio che – forse – il problema croato era qualcosa di più di una sorta di leggerezza giovanile da squadra non ancora pienamente matura.
Il problema della selezione di Ante Čačić è probabilmente la scarsa abitudine a giocare partite così, da dentro o fuori, a questo livello. I singoli giocatori hanno parecchia esperienza internazionale, è verissimo (e alcuni di loro anche parecchi successi a livello europeo vissuti da protagonisti, si pensi a Modrić o Rakitić) ma la squadra assolutamente no. Del resto è facile fare una ricerca in tal senso e chiunque può scoprire con pochissimi clic che, da Euro 2000 a oggi, la Croazia ha disputato appena due incontri in una fase a eliminazione diretta di un torneo maggiore – leggasi Europei o Mondiali. Due. Due. Il quarto di finale rocambolesco del 2008 perso ai rigori contro la Turchia – magnificamente raccontato dal nostro Francesco Piacentini – e l’ottavo di ieri. Fine. Molto poco per costruirsi una tradizione di squadra che aiuti a sviluppare la giusta mentalità in questo tipo di manifestazioni. Certo, il Portogallo ha anche avuto la sua dose di fortuna perché l’ormai famigerato gol partita di Quaresma arriva dopo due errori marchiani che, paradossalmente, gli aprono completamente la porta: il tiro sballato di Nani che si trasforma in un geniale assist e la conclusione molle di CR7 – che da quella posizione non sbagliava tipo dal 2007 – sono una doppia sfortuna difficile da prevedere e quindi digerire. Ma non è che la formazione balcanica avesse prodotto calcio champagne, eh, e questa è la prova di una certa tremarella nelle gambe che i ragazzi di Čačić devono aver provato a prescindere da eventuali meriti lusitani.
La morale, comunque, è solo una: finché la quantità notevole di talento che la selezione biancorossa produce con continuità ammirevole e con la quale irrora costantemente la sua Nazionale non sarà incanalata nella costruzione di un gruppo organizzato e vincente non solo sulla carta ma anche per mentalità (com’era quello del ’98, praticamente), la Croazia rimarrà stabilmente bella e impossibile, fascinosa e incompiuta, impastoiata in quel limbo di Nazionali che forniscono giocatori di spicco ai club più forti del pianeta ma, che poi, non trovano mai la giusta quadratura del cerchio per sognare una volta che si ritrovano tra di loro. Ed è un po’ un peccato, francamente.