In Europa e per restarci
Ognuno ha il tabellone che si merita. O che gli capita, anche: fattore merito e fattore fortuna agiscono allo stesso modo e, per vincere una grande manifestazione internazionale, di entrambi hai estremamente bisogno.
Si è infatti detto e ironizzato molto su un tabellone obiettivamente “squilibrato” come quello di Euro 2016.
Senz’altro lo è, ma critiche e proposte di soluzione non dovrebbero andare oltre: tra chi vorrebbe far pesare il blasone più del ranking – comunque inequivocabilmente calcolato sulla base di risultati e con un criterio uguale per tutti – o chi preferirebbe sorteggiare di volta in volta accoppiamenti e partite di un torneo in cui si gioca a distanza di pochi giorni e che muove migliaia di persone provenienti da tutta Europa (ne sanno qualcosa i francesi…), si è un po’ esagerato. Anche perché Croazia e Galles, al netto del girone svolto, di stare dalla parte “giusta” se lo meritano eccome: colpa di spagnoli e inglesi aver mancato il primo posto e trovarsi, adesso, accoppiati male. O anche semplicemente della sfortuna: una volta trovi Australia e Ucraina a spianarti la strada verse le semifinali iridate, altre volte no.
Ecco: formula che è cambiata e tabellone che ti chiede un po’ talento e un po’ fortuna. Sulla formula: critiche, ironie, a volte anche bassezze. Ci ricordiamo di come passò l’Italia a USA 1994?
Coerenza, prima di tutto; o almeno bontà di ammettere che un allargamento fosse necessario: in nessuno sport Coppa del Mondo ed Europei sono – per le nazionali del Vecchio Continente – ugualmente selettivi e sembra ragionevolmente giusto che un’Austria o un’Ungheria, nonostante non siano le San Marino o Andorra della situazione, vivano una kermesse internazionale.
Perché poi l’allargamento a 24 squadre ti ha ravvivato qualificazioni che erano storicamente un’amichevole lunga un anno e mezzo: tra chi giocava per il nulla e chi, pur giocando per qualcosa, comunque alla fine si qualificava – qualcuno ricorda l’ultima volta che siamo mancati noi? – era una noia mortale e quest’anno si sono viste forze nuove. Anche perché le “medie” giocavano per davvero, finalmente motivate da un criterio meno selettivo rispetto al passato.
Il risultato è che Gareth Bale, a differenza di Ian Rush e soprattutto Ryan Giggs, a una grande competizione estiva ci è andato per davvero. E con merito, finalmente, francamente: girone di qualificazione e gruppo francese alla mano, il Galles non ha rubato nulla e potrebbe sfruttare ora il tabellone “buono”.
La sfida all’Irlanda del Nord – altra tradizione sportiva che ha espresso, in passato, uno dei calciatori più frizzanti e talentuosi della storia: George Best – è suggestiva soprattutto all’indomani dell’esito del referendum sulla #Brexit (sulle cui possibili conseguenze sportive si è espresso il nostro Pietro Luigi Borgia ieri mattina), risultati dettagliati alla mano.
Chris Coleman – erede del compianto Gary Speed alla guida dei Dragoni – ha stupito per acume e organizzazione tattici. Sorprendendo nazionali “continentali” magari anche più talentuose, sfruttando un impianto rodato e composto da calciatori di Premier League (il cui simbolo è Joe Allen, moto perpetuo) e soprattutto due fuoriclasse come Aaron Ramsey e Gareth Bale: il primo è un campione vero e con un cognome più spagnoleggiante avrebbe rubato l’occhio molto più a livello di mercato, il secondo è semplicemente il capocannoniere di Euro 2016 e incarna in toto il calciatore 2.0. Che sa e può coprire più ruoli, gioca (bene) dove lo metti e unisce tecnica, velocità, fisico e carisma: il Lebron del calcio, se ce ne è uno.
A disposizione ora di una nazione abituata a far bene con la palla ovale ma ora in condizione finalmente – anche grazie alla crescita dello Swansea nella massima serie inglese – di dire la sua nel calcio dell’estate. Quello dove si scrivono storie e si costruiscono leggende: appuntamento alle 18 allo Stade de France per sapere se Giggs rimpiangerà per davvero di essere nato 10 anni troppo presto. Arbitra Atkinson, un’inglese: e chi sennò?