Francia 2016 – Highlights: ma chi cacchio è Nolito?
Chiunque sa già che, grazie alla sconfitta di ieri sera, la Spagna giocherà contro l’Italia nei prossimi ottavi di finale. Quello che però sanno in pochi, al di là di quanto visto nelle tre partite del girone giocate dagli iberici, è chi sia l’ala sinistra delle Furie Rosse, cioè Manuel Agudo Durán, volgarmente noto come Nolito.
È da quando hanno esordito agli Europei che rimbalza nella rete – e non solo – la domanda che attanaglia i cuori di tutti i calciofili che non conoscono altro rispetto a Serie A e coppe europee (per non parlare dei tanti tifosi occasionali che puntualmente riemergono dalla naftalina quando la Nazionale gioca una competizione importante): ma chi cacchio è Nolito? Da dove viene? Cosa fa nella vita? È un aspirante tronista di Uomini e Donne versione spagnola riuscito a farsi strada nel calcio? È un marinaio andaluso che s’è scoperto in possesso di un buon destro? Ma soprattutto: cosa ci fa nella Selección iberica?
Il viaggio dalla foce del Guadalquivir, presso la natia Sanlúcar de Barrameda, alla terra di Francia per gli Europei può sembrare non troppo lungo ma in realtà Nolito ci ha messo una vita per arrivare in Nazionale. E non ci ha messo poco neanche a farsi un nome come calciatore, peraltro. Il nostro – infatti – è prossimo a compiere trent’anni e si può serenamente dire che la sua “vera” carriera sia iniziata solo nel 2011, quando ha lasciato le pastoie del Barça B. Lui che nella cantera blaugrana c’era finito a quasi ventidue anni, diversamente da tanti altri talenti de La Masia che atterrano sul pianeta del Barcellona abbondantemente teenager, quando non addirittura minorenni.
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Non sapremo mai cos’abbia portato Nolito dall’Écija – squadra di terza serie – ai campi dell’orgoglio sportivo catalano, chi l’abbia notato e chi abbia deciso di tesserarlo ma sospettiamo che abbia giocato un ruolo fondamentale il gol segnato al Real Madrid in Coppa del Re durante un favoloso 1-1 del 2006 tra il piccolo Davide andaluso e il Golia castigliano (una partite a suo modo memorabile tra l’esordio di Borja Valero tra i professionisti e uno dei rari gol di Cassano con la camiseta blanca). Del resto si sa, dalle parti del Camp Nou è molto ben considerato avere delle stigmate di anti-madridismo fin da tempi non sospetti. Indubbiamente può aver aiutato Nolito anche aver giocato una buona prima stagione e una notevole seconda, coronata dalla promozione del club, ma quel gol alle Merengues al primo anno da professionista era un segno ineluttabile e, come tale, impossibile da ignorare.
Là, al Barça B, l’esterno andaluso incontra l’uomo che gli ha cambiato la vita: Luis Enrique. Tra l’altro giungono entrambi a La Masia l’anno in cui Pep Guardiola assume il controllo del Barça vero e proprio, iniziando così la sua gloriosissima epopea blaugrana con tutte le relative vittorie indimenticabili. Lucho, dal canto suo, eredita dall’ex compagno di squadra la seconda squadra e, quindi, anche l’ultimo arrivato Nolito. L’asturiano lo rende una colonna della formazione B ma non riuscirà mai a trasformarlo davvero in un giocatore utile per Guardiola nonostante Pep ami utilizzare i ragazzi provenienti dalle giovanili e dalla squadra B: la sua esperienza coi “grandi” (nonostante abbia già 24 anni) si riduce in pochi minuti disseminati qua e là coronati da un gol, sempre in Coppa del Re.
La miglior esperienza in Catalogna non si scorda mai, anche se è solo il primo gol di un 5-1 in una partita inutile
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Fatto sta che l’andaluso, dopo tre anni di Barcellona B, lascia la Catalogna da svincolato nello stesso anno in cui Luis Enrique tenta l’avventura italiana con la Roma, scegliendo per sé la via del Portogallo, presso appunto il Benfica. Per carità, anni di formazione importante quelli de La Masia, nessuno lo mette in dubbio. Grande scuola, grandi insegnanti, belle esperienze. Ma di partite di calcio ad alto livello pochine, quasi nessuna come abbiamo visto. Perciò si può azzardare che quella di Lisbona è la sua prima esperienza entro i radar del “calcio che conta”, per dirla con la signora Cerci, nella quale colleziona una cinquantina scarsa di presenze (relativamente poche da titolare, però, nonostante metta insieme 15 reti) e vince la Coppa di Lega lusitana senza scendere in campo nella finale. L’anno successivo gioca molto meno e nel gennaio del 2013 lascia le Aquile per accasarsi sei mesi vicino a casa sua in Andalusia, al Granada – al tempo ancora dei Pozzo. Aiuta la squadra a salvarsi, imponendosi subito come titolare.
L’estate successiva, il suo personalissimo deus ex machina Luis Enrique trova occupazione presso il Celta Vigo. Ovviamente, la prima mossa di Lucho è cercare di portare con sé quanti più ex pupilli del Barça B può, partendo proprio da Nolito: poco più di due milioni e mezzo di euro (oggi vale sei volte tanto) ed ecco che l’esterno arriva in Galizia, nel nord-ovest della Spagna, lontanissimo dalla sua Andalusia ma, come sempre nella sua esperienza da calciatore, in una città marittima.
Il resto è cronaca: titolare indiscutibile e stella della squadra, a Vigo Nolito diventa un giocatore stimato e desiderato fin dal suo primo anno (quando si dice “rinascere a 27 anni”, alla faccia del late bloomer) e, andato via Luis Enrique richiamato dalle ammalianti sirene blaugrana poi sostituito dall’argentino Berizzo, nei due seguenti – se possibile – migliora ulteriormente. Alla fine, nel suo triennio galiziano può vantare 39 gol e 23 assist in 103 presenze, praticamente una giocata decisiva ogni 144 minuti. Ovviamente il suo vecchio mentore, molto occupato a raggranellare titoli col Barça, non ha mai smesso di pensare a lui e ha provato diverse volte a farselo comprare per riaverlo al suo fianco da prima riserva di Messi, Neymar e Suárez ma la dirigenza catalana ha tentennato fino al punto che il giocatore – stufo di attendere – ha apparentemente scelto di accettare invece la corte del Manchester City, nuovo feudo di Guardiola.
La miglior stagione della vita di Nolito, 13 gol e 13 assist
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In tutto ciò, Nolito ha guadagnato l’esordio in Nazionale a fine 2014 per poi scalare le gerarchie nel 2015 e imporsi come titolare nel 2016, come confermano anche le scelte di del Bosque nelle prime tre partite disputate dagli spagnoli agli attuali Europei. Ci piace pensare che il suo successo nella Selección sia dovuto al fatto che, diversamente dalla maggior parte dei suoi connazionali, l’ex Barcellona non si fa troppi problemi a tirare da fuori (e vedere uno spagnolo tirare, diciamocelo francamente, a volte ha lo stesso effetto di un morbido balsamo tonificante sul nostro piccolo cuore esasperato dalla ragnatela di passaggini e passaggetti senza costrutto in cui si perde talvolta la Roja).
Quella dell’andaluso è, per farla breve, una storia che si presta facilmente alla retorica calcistica che tanto piace alle masse, un po’ un bildungsroman tedesco di metà ottocento e un po’ “dalle stalle alle stelle” in stile Jamie Vardy (anche se qui manca il lavoro umile durante i primi anni da calciatore), e ricorda abbastanza da vicino la vicenda di Graziano Pellè – però Nolito è riuscito a essere profeta in patria, a differenza del salentino. Senz’altro una storia di riscatto e di successi guadagnati col sudore della fronte, centimetro per centimetro, a suo modo non solo godibile ma anche quasi edificante, molto da filone “credi nei tuoi sogni e non mollare mai” tipico da filmato motivazionale.
Allo stesso tempo è anche perfettamente comprensibile che chi non segue la Liga si sia trovato spiazzato a leggere il suo nome tra i titolari delle Furie Rosse perché, oggettivamente, non è un giocatore di cui si parli granché, dalle nostre parti. Per ovviare al problema, sarebbe carino che qualcuno si prendesse la briga di scrivere una sua biografia ufficiale, magari riempiendola di quei dettagli un po’ commoventi e un po’ motivazionali (non per forza verissimi, ecco) che tanto aiutano i racconti del genere a scorrere meglio. Bisognerebbe sentire Luis Enrique, magari nei ritagli di tempo potrebbe anche pensarci lui…
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