Editoriali

La macchina del tempo

È vero, può sembrare lesa maestà accomunare il nome di Éder a quello del Divin Codino, Roberto Baggio, a maggior ragione per coloro che, come il sottoscritto, nel 1994 erano bambini nel pieno dell’innamoramento calcistico; ma è proprio per questo motivo che, quando l’oriundo italo-brasiliano si è involato, convergendo da sinistra verso il centro dell’area di rigore svedese, il déjà vu è stato immediato, irrazionale e incontrollabile.

Vedere l’azione che ha consentito alla nostra Nazionale di qualificarsi, con un turno di anticipo, agli ottavi di finale dell’Europeo, è stato per chi, come me, ha avuto la fortuna di assistere a quell’Italia-Bulgaria, un pugno nello stomaco, un misto tra la consapevolezza che quel pallone sarebbe finito proprio in quell’angolino e la velata vergogna di avere, per un momento, avvicinato un (meritevole ed esemplare) onesto calciatore come Éder, al più grande calciatore italiano della storia (a parere di chi scrive).

Sì, perché mentre la sfera si avvicinava all’obiettivo, mentre l’urlo saltava fuori dalla gola, al tempo stesso coesistevano la felicità per il gol e per un bel ricordo risvegliato (come quando un profumo ti fa tornare in mente qualcosa che credevi ormai sepolto nella soffitta della memoria), e una latente malinconia per il troppo tempo passato e per l’impossibilità di poter ammirare ancora oggi un artista del pallone qual è stato il Raffaello di Caldogno, che mi ha fatto, come è stato certamente per tanti altri, innamorare di questo sport negli anni più spensierati dell’infanzia e dell’adolescenza.

Ma il prezzo da pagare è stato certamente giusto se si pensa che, in un colpo solo, si sono verificati: la vittoria dell’Italia, il passaggio del turno, un gol bellissimo, un’emozione riaffiorata, un pensiero verso il proprio calciatore preferito, una rivincita (per ora solo parziale, ma già sostanziosa) sui tanti critici a priori della Nazionale e un’altra coccarda sul petto già affollato di quel grande allenatore che è Antonio Conte.

Il tutto con il corollario rappresentato da una difesa azzurra è ancora imbattuta, da una vendetta per il presunto biscotto della Svezia nell’Europeo di dodici anni fa e da Barzagli, il gigante dal cuore grande e tenero, che ha salvato la vita una coccinella che, speriamo, potrà portarci fortuna da qui in avanti. Ed è proprio con quest’immagine delicata che vorrei chiudere l’editoriale di oggi, buona visione…

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Paolo Guaragna