Quando Kyrie Irving veniva scelto dai Cleveland Cavaliers alla numero uno del draft 2011, LeBron James aveva perso da poco meno di un mese le Finals contro i Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki. Dopo quello che era successo l’estate precedente, con il Prescelto che dall’Ohio si trasferiva in Florida scatenando l’ira dei tifosi di Cleveland, difficilmente avrebbe immaginato che si sarebbe ritrovato, qualche anno più tardi, al suo fianco a lottare per il titolo. Un paio di anni di apprendistato per diventare un giocatore di primo livello (ma non ancora parte di quell’élite di cui fanno parte pochissimi privilegiati) prima del ritorno di LBJ, che lo ha fatto slittare nelle gerarchie e maturare moltissimo dal punto di vista mentale.
Non è facile condividere lo spogliatoio col miglior giocatore del mondo, sia perché insieme a lui sei costretto a vincere, sia perché in caso di non vittoria sei il primo a finire sul banco degli imputati. E infatti dopo i primi due episodi della serie terminati a favore degli Warriors, le critiche piovevano copiose nei confronti del numero 2. Tuttavia Irving sta rendendo equilibrato il confronto con l’MVP della lega, un certo Stephen Curry. Non solo, lo sta vincendo praticamente in tutte le statistiche che contano per una point guard: 141 punti contro i 111 di Curry, 49% al tiro contro 42%, 13 palle perse contro 22 e lo stesso numero di assist (23 per entrambi). Quello che ha fatto ieri notte, inoltre, va oltre a ogni più rosea previsione in casa Cleveland: nel cosiddetto “win or go home game” ha tirato fuori dal cilindro una prestazione da 41 punti (con soli 21 tiri presi, di cui 17 realizzati) facendo letteralmente impazzire Klay Thompson con crossover, triple e penetrazioni.
E dire che il punto più basso della carriera l’aveva toccato l’anno scorso, quando in gara 1 delle Finals (sempre contro Golden State) si infortunò e costrinse LeBron James a giocare praticamente da solo, vista la contemporanea assenza anche di Kevin Love. Se c’è una cosa che ha imparato dal Prescelto, poi, è che in finale (se giochi a Est con LeBron) è tanto scontato arrivarci quanto faticoso vincere. E se per farlo devi tirare come avvenuto poche altre volte nella storia delle finali, vuol dire che il divario tecnico tra Cleveland e Golden State è più ampio di ciò che dice il parziale della serie.
Con questa vittoria, comunque, i Cavaliers hanno di fatto annullato la sconfitta subita a Oakland e hanno adesso l’opportunità di giocare in casa e pareggiare la serie, consapevoli che anche in questo caso ci sarebbe poi un’altra impresa da compiere. Praticamente un’impresa impossibile, un risultato mai avvenuto nella storia delle finali NBA perché per ben 32 volte su 32 è stata la squadra a portarsi sul 3-1 a portarsi a casa il titolo. La storia, però, si scrive compiendo imprese fuori dal normale: e Irving, di normale, ha ben poco.