È bastata, si fa per dire, una vittoria, senz’altro meritata, per trasformare, agli occhi del pubblico più o meno grande, un gruppo di “brocchi” in una squadra di papabili campioni. Così, come se le parole, ai nostri tempi, svanissero per incanto, come se quanto viene scritto oggi non fosse destinato a lasciare una, seppur minima, traccia domani. E chi, ieri sera, fosse andato a letto senza conoscere l’esito finale di Belgio-Italia, oggi avrebbe l’impressione di ritrovarsi in un altro paese di quello che, sino a poche ore prima, aveva già da tempo iniziato il più tradizionale tiro al piccione contro l’impiego più deprecato e al contempo invidiato del paese, quello del commissario tecnico.
Bella vittoria, quella coi belgi, lo ribadiamo, proprio perché chi scrive non è affatto contiano e, a partire della partita di ieri, vuole tentare un’analisi che prescinda dal sin troppo ovvio, e abusato, vizio del valutare tutto a risultato acquisito. Un’Italia accorta, compatta, umile e operaia ha imbrigliato il quotatissimo Belgio, squadra ricca di valori, ma che sembra dover ancora acquisire il cinismo cattivo che distingue solo le grandi formazioni, quelle che vincono, meritatamente o meno. Già in Brasile, due anni or sono, Hazard e compagni, infrangendosi contro l’Argentina di Messi e Higuaín, avevano dovuto assaporare una sconfitta amarissima, a obliterare le ambizioni di un gruppo di bellissime speranze. Il pallone, però, è sport infame, in cui solo a pochissimi è (stato) dato di specchiarsi senza dover pagare il giusto fio alle esigenze della prassi.
E, così, ecco che un Antonio Conte accortissimo, bravo a scegliere, contro gran parte dell’opinione corrente, uomini di fiducia, ha la meglio su un Marc Wilmots quasi suicida: la tattica e la sapienza difensiva neutralizzano quasi del tutto la tecnica e la circolazione di palla, unite a una gestione dell’organico a dir poco discutibile. Giaccherini da elemento fuori parte (i più lo vedevano, non del tutto a torto, alternativa laterale di Darmian) si trova a recitare da primo violino: il lancio di Bonucci è una perla balistica, ma il controllo e il tiro del folletto di Talla è roba degna davvero dei palati più fini. Discorso analogo per una vecchia guardia rivelatasi preziosissima (al netto di errori per fortuna non pagati, il pokerissimo rappresentato da Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini e De Rossi ha ripagato al mille per mille la fiducia concessa dal c.t.), specialmente a sostenere lo sforzo dei compagni, cui hanno giovato non poco gli innesti, a partita in corso, di De Sciglio, Immobile (buona la prova in appoggio a Pellè) e un Thiago Motta davvero efficace quando s’è trattato di contenere e ripartire.
Non tutto è oro quel che luccica, però. La ditta Italia deve, infatti, ringraziare la superficialità del tecnico vallone, la svagatezza di Lukaku e Origi (siamo sicuri che Benteke e Batshuayi siano inferiori a questi due?), la “morbidezza” difensiva dei Diavoli Rossi (la “dormita” di Alderweireld sul primo gol è da galleria degli orrori), elementi determinanti e che non debbono certo sminuire la bella impresa azzurra, ma costituire un monito a non mollare. Anche in Brasile la prima partita, contro la temuta Inghilterra, finì con una vittoria convincente e poi sappiamo come andò finire la spedizione di Prandelli…
Di certo, Conte non è tipo da consentire cali di tensione ed è pure probabile che l’ex juventino abbia calibrato la preparazione per una partenza forte, puntando al passaggio del turno come risultato minimo accettabile per una Nazionale che, al di là dell’affollamento odierno sul carro dei vincitori, ha certo meno talento puro rispetto ad altre spedizioni.
Cautela, ci vuole, e misura. Quella che ci pare del tutto mancante a chi adesso, lo abbiamo sentito con le nostre orecchie, sostiene che Pirlo avrebbe impedito, nel suo quadriennio torinese, a Bonucci di esprimere le proprie doti di regista arretrato o che la “rovina” di molte nazionali azzurre sia stata la presenza di numeri 10 del calibro di Rivera e Baggio.
Di certo, abbiamo iniziato col piede giusto, ma la strada è ancora lunghissima e niente è ancora acquisito.