Editoriali

Milano ammiri Madrid e le chieda come si fa

San Siro, Milano, ore 20:45.

L’Italia tutta si godrà la finale della Champions League 2015-2016, organizzata e ospitata dal capoluogo lombardo. Si gioca nella casa di 10 Coppe dei Campioni (7 del Milan, 3 dell’Inter), e aggiungendo i titoli conquistati dalla Juventus il movimento calcistico italiano è salito 12 volte sul trono d’Europa.

Eppure, di nostre rappresentanti nemmeno l’ombra: fuori la Lazio al preliminare, le due “potenze” – come si usa dire – del nostro calcio si sono fermate agli ottavi di finale, piegate dalla superiorità delle avversarie ma anche dal secondo posto nei rispettivi gironi. Ci tocca guardare gli altri, sperando sia un’esperienza formativa: ammirare e invidiare, con voglia di migliorare, tornare grandi, cambiare, svecchiarci.

L’unica società degna delle migliori del Vecchio Continente è la Juventus. Lo è non solo per la competitività dimostrata sul campo, o per il dominio incontrastato certificato dai 5 scudetti consecutivi (con la perla delle 2 “doppiette”), ma anche per la struttura societaria messa su: stadio di proprietà, investimenti di mercato oculati e mai casuali, sguardo alla Champions ma senza perdere di vista il giardino di casa.

Proprio le milanesi, padrone di casa di una finale che sbatte loro in faccia un ritardo di anni in competitività, sono lontanissime da questo modello, dall’idea di calcio moderno in generale: il passaggio da Moratti a Tohir ha provato a svecchiare l’Inter eppure – forse anche per la scelta di un allenatore poco abituato a programmare – c’è sempre la sensazione che improvvisi: squadra fatta e poi disfatta, messa a punto e poi smontata.

Acquisti annunciati in pompa magna e bocciati soltanto 6 mesi dopo. Una certa bulimia di mercato: per gli investimenti fatti il quarto posto raggiunto a fine campionato sembra poco, specialmente alla luce delle difficoltà e del girone regalato dalla Roma terza classificata.

Ma è messo anche peggio il Milan, l’altra padrona di casa. Quella che, albo d’oro alla mano, ha fatto della coppa dalle grandi orecchie il suo terreno di conquista: penultima italiana ad alzarla al cielo – correva l’anno 2007 e ora rossoneri e Liverpool, le pretendenti di quel 23 maggio, staranno fuori dalle competizioni europee: mala tempora currunt – ma soprattutto lontana parente della squadra che fu.

Dalla stagione dei parametri zero e dell’usato (non più) di lusso la squadra di Berlusconi non è mai uscita. Le spese della scorsa estate avevano illuso, ma senza solidità e una stabilità tecnica non si va da nessuna parte: agli acquisti è stato chiesto tutto e subito perché non si vuole aspettare, non lo si ha come DNA.

Né basterebbe, al patron rossonero, fare il paperone e basta: in Europa ci torna (e ci vince) chi abbina investimenti e organizzazione, chi guarda all’oggi, al domani e al dododomani.

Chi è sicuro strutturalmente, dentro e fuori dal campo: Milano batta un colpo, se è viva. E nel frattempo ammiri Madrid e le chieda come si fa.

Ai tifosi dico di stare sereni: il Milan che abbiamo conosciuto nel passato non è stato sempre ai massimi livelli, come tutte le squadre nella storia del calcio. Basta che la squadra conservi quel suo carattere, quella sua personalità da Milan, e che ci sia sempre la sua missione di scendere sempre in campo per vincere e divertire. Essere quindi una squadra esempio-immagine di cui i propri tifosi non debbano mai vergognarsene. Non credo che né la proprietà né la dirigenza del Milan improvvisamente possano non godere la stima dei nostri tifosi.

La situazione economica non ci consente più di avere giocatore strapagati, come quelli che hanno marcato le campagne acquisti del passato. Il Milan non se lo può più permettere, questo non signifca rinunciare a vincere. Significa costruire un settore giovanile forte, una rete di osservatori che vada a caccia in tutto il mondo di talenti. Il Barcellona ha fatto così, con la Cantera, e dobbiamo seguire questo modello per costruire un Milan forte e vincente. Il mio Milan ha iniziato così a vincere con Sacchi (Silvio Berlusconi, un po’ di tempo fa)

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Matteo Portoghese