Verso Francia 2016 – Allenatori “vincenti”: Thys (Belgio 1980)
L’Europeo del 1980 arriva a chiusura di un decennio di rivoluzioni copernicane per il calcio. L’avvento del gioco a zona aveva cambiato per sempre il modo di intendere la strategia tattica. Visti Crujff e compagni, nulla sarebbe più potuto essere come prima, nonostante ai tulipani fosse mancata la vittoria finale nel Mondiale del ’74. E tuttavia la disseminazione del verbo avvenne con una certa lentezza. Anche l’ultima vittoria rilevante in una competizione internazionale era stata ottenuta dall’Argentina nel ’78, sempre ai danni dell’Olanda e con un impianto di gioco tradizionale, per quanto illuminato dalla mano di Menotti e per quanto in un Mondiale alquanto condizionato dagli eventi esterni.
A livello di club ad esempio, in Italia iniziarono a guardare agli insegnamenti olandesi le dapprima le piccole squadre, come il Lanerossi Vicenza di Fabbri e il Perugia di Castagner, sebbene con adattamenti inclini alla zona mista, fino a raggiungere due lusinghieri e imprevedibili secondi posti. La Roma di Liedholm, a sua volta dopo un secondo posto, modificò la tendenza andando a vincere uno scudetto zonista.
Per veder cambiare radicalmente la situazione, in Italia e in Europa si sarebbe dovuto attendere il Milan di Arrigo Sacchi. A livello internazionale però la teoria e tattica della zona in quegli anni di cambio decennio stava ricevendo un contributo fondamentale dal Belgio, dove la propagazione culturale viaggiava sulla prossimità fiamminga all’Olanda. Una generazione di talenti, in campo e in panchina, stava improntando la fisonomia di un gioco ben preciso e per lungo tempo caratterizzante.
In campo, si fecero valere i nomi del terzino Gerets (poi al Milan), del mediano Renquin, dei centrocampisti Vandereycken (Genoa) e Coeck (assente all’Europeo ’80 e poi all’Inter, prima di una tragica fine prematura), della mezzala dai piedi buoni Van der Elst, del poderoso attaccante Ceulemans e del prolifico Vanderbergh. Vero fuoriclasse della squadra, il portiere Jean-Marie Pfaff, tra i più forti di tutti i tempi.
In quegli anni incontrare Anderlecht, Bruges o Standard Liegi nelle Coppe non significava aver ottenuto un turno tutto sommato abbordabile, come spesso è poi stato, ma tutt’altro. A livello di club, l’allenatore belga più importante fu Goethals, che costruì la fame dell’Anderlecht vincendo una Coppa delle Coppe e due Supercoppe europee contro Liverpool e Bayern Monaco, le due potenze calcistiche dell’epoca. Anni dopo, avrebbe portato l’Olympique Marsiglia (di Waddle e Abedì Pelè) in cima alla vittoria della Coppa dei Campioni, proprio contro il Milan di Sacchi. Lo stesso Goethals allenò il Belgio per otto anni, dal 1968 al 1976.
Ma il vero deus ex machina della prima età dell’oro della Nazionale Belga fu l’allenatore Guy Thys. Thys, classe 1922, mantenne la conduzione tecnica del Belgio dal 1976 al 1991, salvo una parentesi di qualche mese nel 1989, per poi riprendersi il Belgio per i Mondiali del ’90. Con lui il Belgio centrò la finale dell’Europeo 1980, sconfisse l’Argentina campione del mondo nella partita inaugurale di Spagna ’82 e raggiunse le semifinali del Mondiale 1986, arrendendosi solo di fronte alla maestà di Maradona nel massimo del suo fulgore.
Thys diede rigore tattico alla squadra, stabilendo i protocolli calcistici che avrebbero improntato l’identità della squadra: molto possesso palla, movimenti a sovrapporsi dei terzini, squadra corta, ma soprattutto uso sistematico del fuorigioco, tanto per impedire i contropiedi avversari, quanto per gestire la fase difensiva in caso di palle inattive. Lo stesso rigore che pretendeva anche fuori dal campo, tanto che pare facesse pedinare i giocatori.
Delle sue squadre, la più brillante fu proprio quella vista in Italia nel 1980. L’Europeo del 1980 fu anomalo dal punto di vista dell’organizzazione. Scesero in campo otto squadre, di cui sette provenienti da qualificazioni molto selettive e una, l’Italia, quale paese ospitante. Non vi furono semifinali ma solo due gironi da quattro che videro il successo da una parte della Germania, trascinata dall’estro debordante della giovane stella Bernd Schuster e dall’altra del Belgio, per migliore differenza reti rispetto all’Italia.
La finale si disputò a Roma (che con Torino, Milano e Napoli fu una delle quattro città ospitanti) e vide da una parte i tedeschi allenati da Derwall, dall’altra il Belgio di Thys. I tedeschi contavano su bomber di stazza, come Rummenigge e Hrubesch, mezzali talentuose come Schuster e Hans Muller, difensori come Kaltz e Briegel, in gran parte l’ossatura della squadra che due anni dopo avrebbe perso la finale mondiale contro l’Italia di Bearzot.
Il Belgio aveva ben impressionato durante le tre partite del girone, mostrando un gioco brillante e interpreti di ottima caratura. Per accedere in finale, i belgi pareggiarono 1-1 con l’Inghilterra, superarono per 2-1 la Spagna e bloccarono sullo 0-0 le aspettative degli azzurri padroni di casa. Terminò 2-1 per i tedeschi. Al vantaggio iniziale di Hrubesch dopo soli 8 minuti aveva risposto il centrocampista Vandereycken al 75’, ma a due minuti dal termine ancora il panzer Hrubesch regalò il successo ai tedeschi. Gli assist per i gol furono serviti dal giovane Schuster, stella assoluta della manifestazione.
Il Belgio di Thys concluse al secondo posto, come l’Olanda del ‘74, come il Perugia, come il Lanerossi Vicenza, come la prima Roma di Liedholm. Quest’anno all’Europeo parte tra le favorite. E chissà che i semi di Thys, scomparso nel 2003, sboccino ora seppure con un’altra generazione.