André Greipel, un ritiro senza stile
Dire che il Giro è il Giro, ma il Tour è il Tour, è una realtà – e anche un’ovvietà. Ma è esattamente ciò che ha detto André Greipel dopo avere vinto la sua terza tappa nell’edizione 2016 del Giro d’Italia. Festeggiando il terzo sprint su tre, e il fatto di ritirarsi dalla corsa.
Sì, avete letto bene: vittoria e ritiro, alla vigilia dell’ultima – decisiva – settimana. Vero che è il momento in cui i velocisti escono dalle copertine; ma restano comunque due tappe destinate ai finisseur, quella di Cassano d’Adda e la passerella finale a Torino. L’obiettivo dichiarato di Greipel era di arrivare alla dodicesima tappa: dominare la volate, prima che si cominci a salire (mancano solo due giorni al tappone di Corvara). Missione compiuta.
Non sono antitedesco, anzi chi mi conosce sa della mia precisione e pignoleria (quella che mi è valsa, in certi contesti, il soprannome di svizzero); ma proprio in forza di certi valori fatico a condividere la scelta del tedesco Greipel di ritirarsi “in modo programmato”, giunto alla scadenza delle montagne. È accettabile, è dignitoso rifiutarsi? Personalmente, credo che un professionista debba esserlo fino in fondo, non solo quando è più semplice.
Troppo facile, troppo comodo, ritirarsi a metà corsa. Troppo semplice accusare l’eventuale stanchezza post-montagne. Troppo facile schivare la fatica, perdipiù mancando di rispetto verso la corsa, verso i colleghi, e verso i tifosi che affollano le strade. Ditelo a Viviani, Filosi e van Poppel che, arrivando ad Arezzo, sapevano di essere fuori tempo massimo, ma hanno comunque pedalato fino al traguardo (55 minuti supplementari rispetto al vincitore, Gianluca Brambilla), consci che la giuria avrebbe dovuto comunque escluderli.
Fa ancora più male pensare che lo sgarbo viene da uno dei corridori in attività con più esperienza e vittorie: atleta esemplare, classe 1982, l’unica scusa da far valere è avere altri obiettivi, nell’anno olimpico. Prima il singolo, poi la corsa: non mi piace. Il ritiro ci sta quando ci sono problemi di salute (come per Valerio Agnoli). Ma altrimenti è pura economia. E uno sgarbo alla seconda corsa a tappe più importante – un gradino sotto il famigerato Tour, l’abbiamo detto. Non è il Giro che perde uno dei suoi protagonisti: è un protagonista che sceglie di andarsene, perché ha di meglio da fare.
«La mia stagione è ancora colma di obiettivi, dispiace molto andarmene con la maglia rossa, ma se rimanessi fino al termine magari me ne pentirei al Tour», ha dichiarato. Già, perché con questo fior fiore di risultati il Gorilla si è ritrovato in testa alla classifica per la maglia rossa, quella a punti.
Che è l’equivalente della maglia verde al Tour. E a precisa domanda il Gorilla ha risposto così: «Se me ne sarei andato via anche con la maglia verde al Tour? Beh, il Giro è il Giro e il Tour è il Tour… Però tornerò e combatterò per la maglia rossa». Anche no, grazie. Per una questione di rispetto.