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Verso Francia 2016 – Allenatori “vincenti”: Kachalin (URSS 1960)

I primi Campionati Europei di calcio si tennero in un’Europa molto diversa dall’attuale. Mancavano pochi anni all’avvento della gioventù sessantottina, Mary Quant non aveva ancora inventato la minigonna, i Beatles e i Rolling Stones ancora pascevano all’ombra del giovane Elvis. L’Europa non era ancora divisa dal Muro di Berlino, ma nonostante la morte di Stalin, una cortina di ferro ideologica contrapponeva comunque i Paesi del Patto di Varsavia al risorto Occidente. In campo, andavano i figli del dopoguerra, la prima generazione che non aveva conosciuto la guerra, se non nell’età dell’infanzia.

Nonostante l’assenza di squadre importanti come Inghilterra, Germania Ovest e Italia, numerosi erano gli assi attesi alla competizione. Con la Francia giocava il cannoniere Fontaine e il fuoriclasse Kopa, con la Cecoslovacchia Masopust, con la Spagna Gento, Suárez e i naturalizzati Kubala e Di Stéfano. E nell’URSS, a difesa dei pali, si stagliava il leggendario Lev Jascin, già oro olimpico alle Olimpiadi estive di Melbourne. Per il gigante sovietico, ogni manifestazione sportiva, in quei particolari anni di Guerra Fredda, assumeva una rilevanza ulteriore, una trasposizione ideologica e una disfida di stili di vita che pervadeva ogni momento in cui era possibile rilevare un confronto. Inoltre solo quattro anni prima vi erano stati i fatti di Ungheria che avevano scosso molti sostenitori dell’ideale socialista anche in Europa occidentale.

Lo stesso gioco dell’URSS mirava ad assumere caratteristiche peculiari. Tanto gli allenamenti quanto la formazione fisica degli atleti prediligevano un aspetto collettivistico del gioco, dove ognuno svolgeva una funzione ben precisa. Una visione organica della squadra per alcuni versi antecedente di molti anni al calcio totale del ventennio successivo. Prima del gesto tecnico del singolo atleta veniva la compattezza tattica della squadra. Si sentiva spesso dire che anche un fuoriclasse come sir Stanley Matthews avrebbe potuto far panchina nell’URSS, perché sebbene fortissimo singolarmente, non era adatto al gioco corale della squadra. La “superiorità socialista” passava per una rigida e funzionale organizzazione di gioco. E la conduzione tecnica, non scevra da pesanti oneri, ricadde sulle spalle del tecnico Gavriil Dmitrevič Kachalin.

Ex calciatore della Dinamo Mosca, sul campo visse anni importanti per la squadra, che si stava aprendo a una forma di calcio caratterizzata da velocità e rapidità nei passaggi. La Dinamo Mosca fu anche la prima squadra a effettuare un tour nel Regno Unito, quando impressionarono la stampa e i tifosi inglesi, pareggiando con il Chelsea e battendo l’Arsenal. Kachalin da allenatore guidò l’URSS verso l’adozione della difesa a quattro, raccogliendo le istanze collettiviste e anche le suggestioni dei modelli di gioco correnti, da WM al 4-2-4 del Brasile. Le sue accortezze tattiche segnarono l’inizio di quel filo quanto mai rosso, che avrebbero in seguito intessuto i grandi allenatori sovietici, prima Maslov, poi Lobanovsky.

Cultore del lavoro, anche dopo la storica vittoria dell’oro olimpico, all’epoca il secondo trofeo per prestigio dopo il Mondiale, Kachalin non aveva lesinato critiche alla propria squadra: “Non abbiamo dimostrato una superiorità fisica sulle nazionali della Bulgaria e della Jugoslavia, in quanto non ci siamo presentati alle olimpiadi nella condizione migliore … gli attaccanti non hanno evidenziato elevate capacità nel gioco aereo e nel tiro in porta… siamo stati insufficienti nel gioco sulle fasce … la squadra ha dimostrato scarsa flessibilità tattica… “. La severità del giudizio, nonostante la vittoria, rende la misura della mentalità marziale di Kachalin.

La fase finale della manifestazione voluta dal dirigente francese Delaunay vide una volta rappresentanza di squadre dell’Est, appartenenti al blocco comunista. La manifestazione ebbe natura itinerante e si aprì proprio a Mosca, con l’andata degli ottavi tra URSS e Ungheria. Nel doppio confronto, la selezione di Kachalin, ebbe ragione agevolmente dei magiari, ormai ben diversi dalla selezione d’oro dei primi anni ’50. Ai quarti, il tabellone proponeva il primo grande scontro geopolitico: la Spagna di Franco contro l’U.R.S.S., due squadre di ottima caratura tecnica. E tuttavia, Franco ordinò ai propri di non presentarsi, non volendo acconsentire al confronto.

Così l’U.R.S.S. approdò a tavolino in semifinale. Semifinali e finale si tennero in Francia. Mentre i padroni di casa subirono una clamorosa rimonta dalla Jugoslavia, Jascin e compagni rifilarono un netto 3-0 ai cecoslovacchi. La finale, disputata al Parco dei Principi di fronte a soli 17.000 spettatori, oppose i sovietici alla Jugoslavia, come già era capitato ai giochi olimpici di Melbourne (con vittoria sovietica) e di Helsinki (con vittoria jugoslava). Giovani, aitanti e tecnici gli jugoslavi, esperti e organizzati i sovietici. Nonostante l’iniziale vantaggio degli jugoslavi, con Galic abile a battere Jascin con un preciso colpo di testa, la squadra di Kachalin dapprima nella ripresa pareggiò il risultato con Metreveli e poi si impose nei tempi supplementari, con rete di Ponedel’nik.

Ad oggi, quello di Kachalin è l’unico successo di una nazionale di matrice russa nell’albo d’oro delle competizioni per nazionali. Laddove non sono riusciti Lobanovsky e Capello, riuscì questo caparbio allenatore – militare, dalle idee originali e dalla disciplina rigorosa.