Editoriali

Quel vecchio pallone italiano e vincente

Era da poco iniziato il 2000 quando Luna Rossa prendeva a bastonate sul tangone l’America One nella Louis Vuitton Cup, facendo sì che ogni sportivo italiano diventasse – di colpo – esperto lupo di mare con oltre venti naufragi sulle spalle e i mignolini dei piedi irrimediabilmente compromessi dal velismo (si sa che sulle barche la frattura mattutina del mignolo è rituale come il cappuccino al bar). Ed era poi il 2013, quando l’Italia del rugby iniziava il suo Sei Nazioni demolendo gli odiati francesi e facendoci tutti – per qualche ora almeno – tenaci e virili sprezzasangue con il nobile animo del terzo tempo pronto a emergere all’occorrenza dal tascone.

A risvegliare la forte identità sportiva azzurra – nessuno avrebbe potuto prevederlo – è questa volta un piccolo club inglese con sede nelle Midlands Orientali, proprio al centro dell’Inghilterra, che di italiano (a prima vista) ha soltanto l’allenatore. Leicester non è un posto in cui ti verrebbe in mente di andare a vivere. Fino all’anno scorso era famoso solo per aver dato i natali al grande bassista John Deacon, e in quanto a divertimenti non dev’essere il centro del mondo, tanto che perfino il motto della città è un agghiacciante “Semper eadem”, che dal latino significa: sempre la stessa.

Eppure la rivoluzione del calcio è partita proprio quest’anno, e proprio là dove non te lo saresti mai aspettato. Gli ingredienti della rivolta dei piccini sono tanti e inattesi: l’esplosione simultanea di talenti calcistici incompresi come Vardy e Mahrez, il suicidio collettivo di tutte le big, un bel pizzico di fattore C nei momenti chiave (ma senza quello non vai da nessuna parte) e soprattutto la cara vecchia ingenuità della cara vecchia Premier League, messa sotto scacco da un gentile signore italiano di 64 anni che di nome fa Claudio Ranieri e di mestiere il tecnico di calcio.

L’uomo giusto al momento giusto, diremmo senza essere troppo originali. Una bella favola, se proprio vogliamo toccare il fondo. Eppure, a guardarla bene da vicino col senno di poi, questa bella favola ha un fondo molto solido e non del tutto impossibile da prevedere. Il presidente del Leicester City, Vichai Srivaddhanaprabha, non ha solo il cognome da spaccone ma pure il conto in banca. Milionarissimo, già due anni fa prometteva l’Europa ai propri tifosi, salvo poi evitare la retrocessione per miracolo.

Archiviato il primo fallimento, le Foxes hanno reinserito il gettone e questa volta se la sono giocata alla grandissima. Sanno soffrire, sanno colpire in velocità, sanno incassare delusioni devastanti come quella patita all’Emirates Stadium dopo il gol di Welbeck al 94esimo. Sanno inanellare serie “manciniane” come i quattro 1-0 consecutivi che hanno dato la frustata decisiva al campionato. Sanno rispondere agli orrori arbitrali con un 4-0 secco nella partita successiva.

E, soprattutto, continuano a segnare in velocità, con tre passaggi dal portiere, con lanci lunghi dalla difesa, con azioni da volume base del manuale del calcio, quelle che si insegnano ai giovanissimi e agli allievi, quelle che in Italia non funzionano più dai tempi del Foggia di Catuzzi. Doveva essere proprio un tecnico italiano a far emergere in un’annata incredibile tutte le lacune tattiche di un campionato, quello inglese, che è potenzialmente il più bello del mondo sia per valore economico dei club che per calore delle tifoserie, ma che incredibilmente è ancora capace di perdersi in un bicchiere d’acqua, di farsi fregare da un piccolo Leicester che non vanta inarrivabili eccellenze: solo tanta intelligenza e tanto sudore.

E noi italiani, che siamo spesso pronti a denigrare il nostro splendido campionato di equilibri e tatticismi, gongoliamo come galli nel pollaio quando dall’estero una ricetta azzurra vince convincendo così. Lo facciamo col “Cholismo” di Simeone, assurto a comandante Che Guevara pur senza aver vinto granché. Lo facciamo con il paterno Ranieri, uno che ha sempre raccolto meno di quel che vale, e che la stampa britannica osanna se nel mezzo della battaglia vola a Roma per pranzare con la mamma (ma come… non ci hanno sempre preso in giro proprio perché siamo dei mammoni?).

Gongoliamo ogni volta, quando lo stile all’italiana si dimostra di nuovo il più efficace di sempre nel gioco del pallone. Per poi fiondarci, in casa nostra, a invidiare le valanghe di gol della Bundesliga, ad ammirare i soporiferi effluvi del tiqui-taca di Guardiola e la “mentalità nobile” del continuare ad attaccare anche in 9 contro 11 sul 2-0. Quella che a noi manca. E pazienza se è una mentalità calcisticamente idiota, che sostanzialmente non ha mai funzionato e non funzionerà mai: anche dopo questa grande lezione impartita a tutti dal Leicester, ci dimenticheremo che il calcio più vincente, al mondo – e ai maestri inglesi che il football l’hanno inventato – gliel’abbiamo insegnato noi.

E forse continueremo a dimenticarcelo, in quel paradossale masochismo che è tipico dei poeti, dei santi e – a giudicare dallo stato dei loro mignoli – un po’ anche dei navigatori.

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Gaetano Allegra