Non è sempre l’allenatore il “pezzo” da cambiare
La Serie A, quest’anno, ha dato evidenza di diverse situazioni nelle quali gli avvicendamenti in panchina si sono rivelati utili e altre in cui, già all’origine, si poteva facilmente intuire che cambiare l’allenatore non avrebbe apportato miglioramenti significativi nei risultati della squadra di turno. Ci soffermeremo, in questa sede, su tre squadre in particolare: Bologna, Lazio e Milan (sebbene le piazze di Palermo e Roma meriterebbero certamente degli editoriali dedicati).
Partiamo dai felsinei e dalla sostituzione tra Delio Rossi e Donadoni: già sul finire della stagione scorsa, si aveva l’impressione che la conferma di Rossi, che aveva avuto certamente il merito di portare a termine la missione-promozione, fosse più un gesto di riconoscenza, piuttosto che una scelta fatta dalla dirigenza con la convinzione che il tecnico riminese fosse veramente l’uomo adatto alla rosa messagli a disposizione per affrontare il campionato di Serie A.
Il Bologna di Rossi dava l’impressione di giocare ben al di sotto delle proprie potenzialità e che la struttura dell’organico avesse attitudini tecniche non compatibili con le idee tattiche del mister. L’arrivo di Donadoni, reduce da una stagione orgogliosa quanto sfortunata a Parma (per i ben noti motivi extra-sportivi), è sembrato un colpo di bacchetta magica capace di ristabilire l’equilibrio tra le caratteristiche dei calciatori e l’impostazione in campo.
Il Bologna è stato l’unica squadra capace di interrompere, con un pareggio, l’impressionante striscia positiva della Juventus; i rossoblù sono riemersi dalle sabbie mobili della zona retrocessione conquistando la salvezza con largo anticipo e, sebbene abbiano pagato successivamente un rilassamento mentale, danno l’impressione di avere posto solide basi su cui costruire la stagione che verrà.
Un’altra piazza nella quale, per motivi diversi, sembrava necessario un cambio di guida tecnica, era quella romana, sponda biancoceleste; la Lazio, era reduce da una stagione precedente con risultati superiori alle aspettative iniziali e da un’eliminazione nei preliminari di Champions League che ha depresso l’ambiente a livello psicologico. Pioli non aveva più in mano il gruppo, che dava l’impressione di aver bisogno di una scossa mentale, più che tattica, e l’arrivo di Simone Inzaghi sulla panchina biancoceleste è stato sufficiente a rimettere a posto i tasselli del puzzle.
Inzaghi non ha fatto rivoluzioni, ha solo conferito una ventata di freschezza in un ambiente sfiduciato e stantìo, apportando quei piccoli aggiustamenti tattici e negli uomini che servivano per rimettere in equilibrio una nave ormai troppo in balìa delle onde. Al di là della preventivabile battuta a vuoto contro la Juventus, la Lazio di Inzaghi ha sempre dato l’idea di avere nuova linfa e ora una conferma dell’allenatore, in vista della prossima stagione, non sembra una follia.
Soffermiamoci infine sul Milan di Brocchi, che ha strappato un punto in casa contro il Frosinone, dopo essere stato seriamente in predicato di lasciare ai ciociari l’intera posta e, soprattutto, dopo aver inanellato una poco onorevole serie negativa: sconfitto a Verona contro l’Hellas ultimo in classifica e virtualmente retrocesso e, prima ancora fermato, ancora una volta in casa sul pareggio, dal Carpi.
Già al momento dell’esonero di Siniša Mihajlović, la soluzione interna con la promozione di Brocchi non sembrava certamente la panacea di tutti i mali della squadra rossonera. Il tecnico serbo, seppur con le proprie colpe, aveva dato un’identità ai suoi uomini. Il suo Milan era, certamente, lontano dall’offrire un gioco gradevole, ma quanto meno appariva compatto, riuscendo a barcamenarsi tra posizioni di classifica in linea con le potenzialità della rosa.
I risultati ottenuti da Brocchi, uniti all’impressione che la squadra sia diventata un’armata Brancaleone, lasciano quasi auspicare un passo indietro della dirigenza che, richiamando Siniša Mihajlović, avrebbe forse qualche possibilità in più di centrare un piazzamento onorevole e, forse, di portare a casa la pur proibitiva finale di Coppa Italia.
Quello che ci si chiede è se forse sia il caso, a Milano sponda rossonera, di smetterla con l’isterico ricambio di allenatori e di prendere, invece, in considerazione l’idea di ricostruire la rosa dalle fondamenta o, forse ancora meglio, di ricostruire l’intera società dalle fondamenta, riconoscendo il fallimento di una dirigenza che non è stata in grado di tenere il passo con l’evoluzione del calcio negli ultimi anni, sia a livello tecnico, sia a livello economico.