Home » Una Fiorentina cruda

Spesso, durante quest’ultima stagione di Serie A, si è parlato dei rimpianti del Napoli, che ha visto la Juventus mettere la freccia, superare i partenopei riprendendosi la testa della classifica e non mollarla più; è stata sottolineata la poca solerzia della Roma ad allontanare Rudi Garcia e chiamare Spalletti, il cui rientro sulla panchina capitolina – se fosse stato più tempestivo – avrebbe potuto enfatizzare le speranze giallorosse di scudetto; si sono commentati in lungo e in largo i diversi difetti dell’Inter di Mancini, autodistruttasi in due mesi e tuttora in cerca di una stabilità e continuità di risultati che – alla fine – è ciò che è mancato al Biscione nel girone di ritorno. Tutto giusto, tutto corretto. Peccato che, spesso e volentieri, non si sia parlato di una Fiorentina ancor più sconcertante di tutte le altre, almeno per quanto riguarda il rendimento espresso e i risultati messi a segno in questo 2016.

La Viola ha infatti vinto appena cinque partite in tutto il girone di ritorno e, attualmente, includendo anche la sfida di ieri sera finita a reti bianche con il ChievoVerona, è protagonista di una striscia da una sola vittoria nelle ultime dieci uscite, qualcosa di aberrante se comparato a quanto fatto invece fino a dicembre. I gigliati hanno messo assieme appena quattro punti nelle ultime cinque gare, per un parziale di otto punti negli ultimi due mesi. Non benissimo.

Cosa può aver portato la Fiorentina a un’involuzione così palese e apparentemente irrimediabile? Come spesso capita nel calcio, non c’è una sola grande causa ma ce ne sono diverse, che hanno contribuito quasi in egual misura alla generazione della situazione che osserviamo adesso.

La più facile da individuare è quella relativa a Paulo Sousa. Il tecnico è infatti al centro di un tourbillon di suggestioni sul suo futuro che lasciano intuire che il rapporto del tecnico lusitano con la società toscana non sia al momento tutto rose e fiori, anzi, e la permanenza dell’ex centrocampista a Firenze è di conseguenza tutto tranne che scontata. Sousa non sembra essere un uomo che si lascia andare alle proprie emozioni, a maggior ragione se è ancora nel bel mezzo di un lavoro che è tutto tranne che concluso eppure è innegabile osservare come il buon Paulo non sembri più in pieno controllo della sua situazione. Questo non significa che abbia perso il controllo dello spogliatoio, sia chiaro, quanto piuttosto che non sia sereno e quindi abbastanza freddo/lucido per guidare con sicurezza i suoi come ha fatto fino a Natale.

C’è un’altra questione, sollevata già durante l’estate, che potrebbe aiutarci nel trovare una spiegazione al declino viola degli ultimi tempi. Già in sede di preparazione della stagione, infatti, c’è stato chi si è posto delle domande sul tipo di preparazione atletica svolta quest’estate, molto leggera e – a detta di alcuni – poco lungimirante guardando alla lunghezza dell’annata calcistica, che ai tempi era peraltro inquadrata in una corsa su tre fronti. È sempre troppo facile sentenziare col senno dei risultati maturati se una squadra sta bene o no, così come è quasi un luogo comune attribuire i cali di forma a flessioni fisiche; di certo la Fiorentina non ha mostrato seri cedimenti atletici così come raramente è apparsa brillante sotto quel profilo. Il dubbio resta ma, per quanto non del tutto verificabile, senz’altro rappresenta una spiegazione accettabile (se presa in considerazione assieme ad altre).

Ovviamente si può dire qualcosa anche del gioco espresso: Sousa non ha snaturato la squadra, partendo dagli assunti individuati da Montella e sviluppandoli a suo modo, cercando di indirizzare il possesso palla con cui la Fiorentina si trova a suo agio a una tensione verticale/aggressiva più che paziente e orizzontale, inasprendo anche i meccanismi di pressing alto che la compagine possedeva già a livello di rudimenti. Il punto è che, come quasi sempre accade, gli avversari hanno via via imparato come prendere delle contromisure efficaci, sicché la manovra viola è diventata sempre meno efficace. Vista la limitatezza delle risorse a disposizione, probabilmente l’ex tecnico del Basilea non è riuscito a trovare piani B soddisfacenti e ha cambiato qualcosa più a livello di modulo che non di concetti di gioco, finendo però per recitare più o meno sempre lo stesso spartito.

Infine non si può prescindere dal rendimento di alcuni singoli pezzi del puzzle che, semplicemente, hanno smesso di funzionare in maniera perfetta. Prendiamo a esempio Iličić e Kalinić: il primo ha fatto registrare (fino a gennaio compreso) 10 gol e 5 assist, mentre da febbraio in poi ha segnato solo tre volte così come ha messo a segno un solo assist. Un discreto calo dello sloveno che ha fatto del male a tutta la compagine, in quanto l’ex Palermo era assurto non solo a faro della squadra per quanto riguarda la creazione delle occasioni da rete ma anche a “ago della bilancia” per le stesse partite: spesso e volentieri Iličić ha risolto situazioni bloccate o addirittura negative con una giocata estemporanea. Semplicemente, a un certo punto, ha smesso di farlo sufficientemente spesso e, anche quando ha ripreso a brillare, non è sempre stato sufficiente. Lo stesso si può dire di Nikola Kalinić, autore di due sole reti nel 2016 contro le dieci dei primi quattro mesi di campionato. Il centravanti croato ha probabilmente pagato a caro prezzo la mancanza di riposo avuta nel 2015: se, da un lato, la preparazione e l’inizio di stagione in Ucraina gli hanno consentito di iniziare col piede giusto la Serie A, esibendo una forma smagliante fin dalle primissime battute, allo stesso modo il principio fulmineo di stagione s’è rivelato una lama a doppio taglio, con un Kalinić meno padrone del campo rispetto alle prime battute a causa di una fisiologica stanchezza (la stagione 2014/2015 s’è conclusa a fine maggio per lui, dopo 47 presenze. Un paio di settimane di vacanza ed eccolo già in ritiro col Dnipro per preparare l’annata seguente – Kalinić di fatto non si prende una pausa significativa dai primi mesi del 2015).

Ma non è solo sugli attaccanti che si può fare questo ragionamento: la difesa della Fiorentina è la più battuta delle prime sette forze di Serie A e, attualmente, fatica enormemente a mantenere la propria porta inviolata, tant’è che l’ultima vittoria senza subire gol risale al 24 gennaio e, più in generale, la Viola non ha incassato reti solo quattro volte in tutto il 2016 – l’ultima ieri sera – per un totale di 4 su 19. Per fare un rapido confronto, la difesa gigliata ha potuto garantire un clean sheet nove volte in tutto il 2015, per un totale di 17 gare. Non ci vuole un genio che qualcosa è peggiorato nella retroguardia di Sousa. L’ultimo paio di mesi di Gonzalo Rodríguez può essere infatti eufemisticamente definito altalenante e il buon Astori non è mai stato quel baluardo insuperabile che qualcuno vorrebbe che fosse. Del resto anche Tomović e Roncaglia non sono proprio due difensori a prova di bomba e, di quando in quando, non hanno mancato di contribuire alle sfortune della squadra con qualche errore marchiano.

Il quadro è quindi completo: abbiamo un calo di rendimento equamente distribuito più o meno fra tutti i reparti (non abbiamo visto in maniera estensiva il centrocampo ma va da sé che anche le mezzali, i mediani e i trequartisti non sono brillanti come a inizio anno) e un allenatore forse meno sul pezzo di quanto invece servirebbe, per quanto si sforzi atrocemente di lavorare al meglio e mantenere il focus. La verità è, probabilmente, che la Fiorentina non poteva durare, perlomeno ai vertici. Troppo contati i titolarissimi senza i quali l’ingranaggio non funziona (in parole povere, mancano le risorse dalla panchina in caso di stecche degli attori principali), una manovra tutto sommato troppo leggibile per essere sempre efficace allo stesso modo e, di base, troppi elementi non adeguati a delle ambizioni da podio.

È un peccato che la Viola non sia durata per tutta la stagione: la freschezza espressa in diversi momenti lo scorso autunno è stata decisamente godibile e, come dimostra la recentissima sfida con la Juventus, la Fiorentina appare tutt’ora in grado di poter dar vita a partite memorabili. Sarebbe ancor di più un peccato, però, che la squadra gigliata dovesse abortire anche ogni prospettiva futura di sviluppo sulla falsariga di quanto mostrato in stagione interrompendo bruscamente la gestione di Sousa e dovendo ricominciare tutto da capo a un solo anno di distanza dalla chiusura del ciclo Montella, cosa che al momento sembra più che probabile. Perché quest’anno, ancorché finirà in maniera molto meno esaltante rispetto a com’era iniziato, certamente rappresentava un’ottima base da cui ripartire. Anche perché di anno zero in anno zero si rischia di non crescere mai davvero… E a Firenze lo sanno.