Cinque volte Juventus
Ancora una volta e con congruo anticipo sul finale di stagione, la Juventus porta a casa il tricolore, festeggiando un lustro di scudetti consecutivi. Dal primo dell’era Conte, bissato e triplicato, sino al paso doble di Allegri, senza soluzione di continuità. S’era detto che tre scudetti di fila in Italia non avrebbe potuto vincerli nessun allenatore in età moderna, poi che il trapasso Conte – Allegri avrebbe addotto lutto e sventura ai bianconeri, infine che la falsa partenza stagionale sarebbe stata irrimediabile e che per Inter e Fiorentina prima, Napoli poi e Roma in fieri, la strada era sgombra. Salvo poi inanellare 73 punti consecutivi su 75 disponibili, ricolmando quel -11 che all’indomani della sconfitta con il Sassuolo segnava la massima distanza quinquennale dalla vetta, fino alla celebrazione anticipata odierna, col coinvolgimento attivo di Fiorentina e Roma, storiche rivali, a speziare ancora un po’ la volata.
La formazione 2011-2012 prevedeva Buffon, Lichsteiner, Bonucci, Barzagli, Chiellini; Giaccherini, Marchisio, Pirlo, Vidal, Matri e Vucinic (oltre a Del Piero, Pepe, De Ceglie e la meteora Krasic, tra gli altri). Da lì in poi sono partiti (e arrivati) Vucinic e Vidal, Pirlo e Tevez, Llorente nonché Conte. Si è aggiunto al gruppo un pilastro come Pogba, mentre la linea difensiva s’assumeva come inossidabile, a dispetto degli anni che passano e dei vecchi che si invecchiano. Gigi Buffon, sempreverde rappresentante della continuità e autore di una stagione formidabile, come a respingere qualsiasi prefigurazione di venerando pensionamento, ha definito lo scudetto di quest’anno come il più bello.
I successi della Juventus appartengono alla famiglia di vittorie che in Europa sono figlie della tradizione e della grande organizzazione societaria, ancor prima che degli allenatori e dei giocatori. In fondo anche alla Juventus si attagliano bene le parole spese dalla fine penna di Sandro Modeo a proposito del Real Madrid: l’“Entitad blanca … un’istituzione gerarchica e stratificata, l’equivalente sportivo di una grande banca o di una grande impresa”. Come il Real Madrid in Spagna o il Bayern Monaco in Germania, la Juventus incarna per l’Italia la continuità nel segno della vittoria, una nike alata in bianconero, paradigma della classicità pallonara, fedele nei secoli. Al punto che quasi cento anni fa, ritroviamo un quinquennio tricolore dal 1930 al 1935, quando i Buffon – Barzagli – Chiellini si chiamavano Combi, Rosetta, Caligaris.
La capacità di realizzare il proprio piano quinquennale conferma l’idea che la Juventus abbia sempre avuto qualcosa in più, una capacità di pianificare e procedere per obiettivi che resta ignota a tante altre squadre, aduse a riempirsi la bocca con la parola “progetto”, ma in realtà in quasi perenne ricerca di identità e struttura. Come chilometri lasciati indietro sull’autostrada, hanno progressivamente scontornato la propria presenza stazionale l’incanutito Mancini, l’avversario di ieri Rudi Garcia, l’outsider Paulo Sousa e l’homo novus Sarri, Higuain e i suoi trenta gol, mentre non risultano mai pervenuti i fantasmi rossoneri. Fuochi fatui innanzi all’ardore storico dei veterani bianconeri.
E intanto per il futuro, inserito a pieno ritmo Rugani, la Juventus sta mettendo le mani sui giovani italiani più interessanti, dal noto e collaudato Berardi, agli emergenti Rolando Mandragora e Stefano Sensi, centrocampisti in corso di formazione sui campi di serie B. L’Entità Bianconera sta già un passo avanti.