Editoriali

Un giorno, figlio mio, ti spiegherò chi era

Non è un caso, non può esserlo. Non può, dannazione, essere soltanto un caso che, dopo il polverone degli ultimi giorni, Totti entri in campo e metta dentro una doppietta decisiva negli ultimi cinque minuti di una partita che senza di lui la Roma avrebbe clamorosamente perso, in casa, contro una squadra già salva. No, non può essere un caso, soprattutto considerando che oggi, già, è il 21 aprile, e dunque, già, è il Natale di Roma.

Fu fondata tanti anni fa, l’Urbe. Era il 753 avanti Cristo, e figuriamoci se all’epoca si sarebbe mai considerato possibile che un giorno, quasi tre millenni più tardi, un giovanotto bravo a calciare una cosa rotonda avrebbe attirato su di sé più attenzioni del Papa.

Sono venti anni che calcia palloni e incanta, diverte, stupisce, Totti. Dal primo gol con la Roma segnato al rimpianto Francesco Mancini nel 1994, alla rete con il Parma nella partita dello Scudetto nel 2001, al cucchiaio a Van der Sar nel 2000, al pallonetto con l’Inter nel 2005, al rigore con l’Australia al mondiale 2006, al tiro al volo di sinistro con la Sampdoria nel 2007, al gol con la Juve nel 2013, al selfie dello scorso anno, alla doppietta con il Torino di ieri sera. Punti, questi, che sembrano il classico giochino del disegno da comporre sul cruciverba, quello in cui colleghi i numeri in serie, e alla fine ti esce l’immagine. Quella di una bandiera, l’ultima, di un calcio che non è più quello di una volta. Quella di un uomo capace di vivere il pallone in tre decadi diverse, e che nonostante i quaranta anni imminenti ha una stramaledetta voglia di non fermarsi qui. Lo sente, sa di poter dare ancora tanto, ne è certo. Ed è paradossale che, a una figura di tale spessore, a un calciatore di tale esperienza, classe, qualità, non sia data la possibilità di scegliere come scrivere il finale della sua lunga storia.

Romanticismo, questo sconosciuto. E’ un mondo, questo, che non ha più tempo per le favole, nonostante abbia un grande bisogno di viverle ancora. Il calcio è passione, voglia, è una buona dose di follia che ogni tanto ti scappa dalle mani, è anche un pizzico di magia. Quella che – quella volta che ti sfreghi le mani, sussurri la formula, e decidi di utilizzarla – ti trasforma una serata maledetta in una serata da ricordare, e raccontare a figli, nipoti, e ai figli dei nipoti.

“Figlio mio, io ho visto giocare Totti” potremo dire noi, fortunati amanti del calcio di questa epoca, in un futuro neanche troppo lontano. Spiegheremo il suo stile, il suo carattere particolare, il suo modo di essere condottiero, di essere capitano. E sì, Messi-Ronaldo-Bale-Lewandowski-Ribery-Ibrahimovic-Cavani-Higuaìn, chi volete, davvero: chiunque, nel calcio di oggi e di ieri, può essere considerato più o meno forte di lui. Non importa. Non conta. Totti non è più scarso, o più forte. Lui è diversoQualcuno lo ha definito eterno, qualcun altro, in questi anni, lo ha dato più volte per morto, già: morto! Calcisticamente parlando, ovvio, e lo ha etichettato perfino come il male di una Roma che senza di lui avrebbe vinto chissà cosa, chissà dove.

Francesco Totti, in realtà, è semplicemente uno che ti trasforma un gol in un motivo sincero per alzarsi in piedi e applaudire, a prescindere dalla fede. È uno che in cinque minuti può strapparti la penna dalle mani e stravolgerti l’articolo da scrivere. È uno degli ultimi Capitani con la C maiuscola, in un calcio fatto di capitani improvvisati. A quarant’anni, chiunque può essere considerato ancora un calciatore; uno su un milione, invece, può considerarsi una leggenda da ricordare, da raccontare, fortunatamente ancora da vivere. E dal finale, a questo punto, ancora tutto da scrivere.

Published by
Alex Milone