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La vittoria dell’Inter sul Napoli in quel di San Siro lascia due sole sensazioni agli osservatori del campionato di Serie A: la prima è che la corsa dei partenopei verso il tricolore sia ormai completamente compromessa, la seconda è che – un po’ come era accaduto contro la Roma, all’Olimpico – l’Inter si sia svegliata troppo tardi dal torpore al retrogusto di mediocrità in cui era sprofondata dopo la fine del girone d’andata.

I nerazzurri, infatti, sono stati protagonisti di una prestazione convincente, specialmente a livello difensivo, che non può che aumentare i rimpianti sulla gestione avuta nelle fasi nevralgiche del massimo torneo calcistico nazionale. In altre parole, il Biscione è troppo in ritardo per arrivare davvero a quel terzo posto laddove i sogni dei tifosi indugiano. Certo, matematicamente c’è ancora una possibilità ed è altrettanto vero che il Napoli deve pur sempre affrontare la Roma ma, più che di rimonta, l’impresa che si prospetta di fronte alla banda Mancini sa invece di rincorsa alla disperata.

Troppi i punti buttati via dai meneghini fin qui per sperare davvero nella qualificazione ai preliminari di Champions League: i nerazzurri non solo devono completare il percorso rimanente accaparrandosi tutte le vittorie disponibili ma devono pure sperare in un mezzo tracollo giallorosso, un’eventualità che, a oggi, sembra sinceramente complessa (per usare un eufemismo).

Certo, il girone d’andata che ha visto spesso un’Inter capolista ha forse illuso i sostenitori della Beneamata e ha creato un’aspettativa esagerata per la squadra ma, del resto, anche il tracollo avuto nei primi mesi del 2016 è difficilmente spiegabile. Peraltro, la fase d’involuzione interista non è mai stata messa veramente alle spalle dai vari componenti della rosa, a tratti visibilmente incapaci di ritrovare la giusta verve anche a marzo e aprile: viene facile ricordare l’assurda sconfitta interna patita per mano di un Torino orrendo ma sufficientemente smaliziato per violare il Meazza ma non si può non citare anche la vittoria di Frosinone, apparsa più frutto del caso che non dell’organizzazione tattica o del genio tecnico (se non quello di Icardi in occasione del gol partita). Non solo: le vittorie con Bologna e Palermo sono sembrate tremolanti e discutibili fino all’ultimo, agevolate anche dal momento non esaltante che le due compagini (per motivi differenti) stavano vivendo nel momento in cui sono scese in campo contro l’Inter.

Per certi versi, la versione attuale del Biscione sembra l’opposto di quella vista nei primi quattro mesi di campionato, in cui spesso faticava nelle partite di cartello ma triturava le piccole, seppur a suon di striminziti uno a zero; oggi, infatti, l’Inter sembra tornare pienamente in sé solo quando si trova di fronte compagini blasonate. Una lettura plausibile è quella che vuole i nerazzurri più a loro agio nello scontrarsi con avversarie che si trovano a loro agio in possesso del pallone e che concedono all’Inter di contrarsi e distendersi lungo il corso della sfida, a differenza delle cosiddette “piccole” che, al contrario, preferiscono aspettare le iniziative della Beneamata rintanandosi dietro la linea della palla, pronte a sfruttare le lacune dei milanesi in fase d’impostazione, più lampanti quando si chiede ai nerazzurri di tenere palla. Ma non è tutto. La squadra attualmente a disposizione del Mancio ha infatti pure dimostrato di faticare parecchio a rimanere concentrata per 90′ in ogni partita e, probabilmente, riesce a mantenersi meglio all’interno di un match quando questo è importante, sentito, mentre – al contrario – perde contatto con la realtà quando si trova ad affrontare realtà minori, fino ad arrivare a staccare completamente la spina nei casi in cui l’avversario è di poco conto e, magari, ci si trova anche in situazione di vantaggio (cfr. partite interne contro Carpi e Torino).

Un’Inter dunque schizofrenica, capace di andare oltre alle spaventose carenze di gioco grazie all’attitudine battagliera e alla ferocia agonistica quando è al suo meglio ma, al tempo stesso, preda di continue crisi d’identità che, per assurdo converso, la conducono in tunnel in cui spariscono per prime proprio le sue caratteristiche mentali migliori – cioè la ferocia e la voglia di lottare. Non solo: anche un’Inter ancora un po’ titubante nei big match ma impietosa contro le piccole che si trasforma in una squadra svagata quando ha di fronte un’avversaria inferiore ma leonina quando può giocare contro un’altra grande.

Alla fin fine, questa Inter ricorda spaventosamente un adolescente: lunatica, in costante mutamento e preda di sbalzi d’umore apparentemente inspiegabili che ne minano alle fondamenta la capacità di essere continua, tanto sotto la lente dei risultati quanto sotto quella delle prestazioni. E, come ogni teenager che si rispetti, la Beneamata 2.0 del Mancio è anche una ritardataria cronica.