Come negli anni ’90. Quando la Serie A era una grande Serie A (il miglior campionato del mondo, dicevano) e la B, di riflesso, era una grande Serie B. Nel massimo torneo calcistico italiano c’erano cannonieri come Baggio, Batistuta, van Basten, Signori, e preferisco fermarmi qua, perché già mi commuovo e la lista rischia di andare avanti a lungo. Mentre in cadetteria (termine un tantino dispregiativo per definire quella Serie B), ricordo ci fossero bomber letali come Schwoch (recordman di reti in questa categoria), De Vitis, Hübner, Ferrante, Paci, Francioso, Protti, Caccia. E anche qua non vado oltre, per rispetto delle coronarie mie e di chi è affezionato a quel calcio che, forse, non c’è più.
Eppure, sabato pomeriggio, mentre guardavo le partite della trentacinquesima giornata di B, ho avuto come un sussulto. “Ma allora ci sono ancora i bomber di razza”, ho pensato. Mi stropicciavo gli occhi, per essere certo che il sonno del dopo pranzo non mi avesse ingannato, ma era tutto vero. Emanuele Calaiò, anni 34 e 92 reti in carriera fra i cadetti, sanciva, con una rovesciata spettacolare, la vittoria del suo Spezia contro il Novara, in una gara che valeva tanto in ottica play-off. Praticamente in simultanea, un altro vecchietto terribile, Daniele Cacia, 33 primavere il prossimo agosto e 113 centri in Serie B, faceva gol alla corazzata Cagliari. Non contento, poi, replicava poco dopo con un pallonetto delizioso a uno che di cognome fa Storari e che fino a dieci mesi fa vestiva la maglia della Juventus. Roba da non credere.
Calaiò e Cacia. Due che di gol ne hanno fatti e chissà quanti ancora ne segneranno. Due bomber d’altri tempi, che impreziosiscono una Serie B che, nonostante la fuga in vetta di Crotone e Cagliari, è ancora emozionante e imprevedibile. Destini diversi (l’uno lotta per la promozione, l’altro per la salvezza), ma stessa pasta, stesso modo di vedere la porta e stessa fame di gol. Il numero 11 dello Spezia con la sua sforbiciata è il simbolo più solare, quasi un marchio da vendere, di una lotta in zona play-off bellissima: sette squadre in tre punti, con continui ribaltoni e scambi di posizioni come in una danza senza regole. C’è chi ti aspetti (Bari, Cesena, Spezia, Pescara) e chi, secondo le proiezioni di inizio campionato, avrebbe dovuto occupare ben altre posizioni (Trapani ed Entella), ma sta lassù, pericoloso come una variabile impazzita. A sette partite dalla fine, è ancora tutto da scrivere e da vivere.
Anche in fondo alla graduatoria, tolto il Como, virtualmente retrocesso, è una lotta alla si salvi chi può. Chi, però, sembra essersi messo al riparo è proprio l’Ascoli di Cacia: doppietta al Cagliari (che, guarda caso, sette giorni prima ha subito gol anche da Calaiò) e più quattro sulla zona calda. L’1-0 è da rapace d’area di rigore, bravo ad approfittare di un buco di Krajnc e a centrare il bersaglio col primo pallone toccato. Il raddoppio è da applausi: pallonetto da trenta metri, palo intero e gol. Di certo, fra i gesti tecnici più belli della sua carriera.
Non ci saranno più Schwoch e Hübner e non avrò più quindici spensierati anni, ma affogare la malinconia per un calcio che non c’è più in questa Serie B, in fondo, non mi dispiace affatto.