Milan-Juventus è stata una bella partita. Certo, non è finita 5-4 o 2-6 come gli amanti del bel giuoco sembrano volere a tutti costi (per poi lamentarsi della scarsa qualità delle difese, magari) ma è stata sufficientemente degna di essere guardata.
I rossoneri di Siniša Mihajlović hanno dimostrato che l’ultima settimana, ritiro o non ritiro, è stata davvero utile per loro e, per almeno un’ora, hanno sfoderato una prestazione inimmaginabile alla vigilia. Basti dire che a tratti persino Balotelli è quasi sembrato un calciatore professionista – certo, il vecchio Mario continua a non avere molta voglia di correre senza palla ma perlomeno ha scaldato abbastanza il suo destro per giustificarne la presenza in campo dal primo minuto. In sintesi, il tecnico serbo può dire di aver ritrovato le giuste corde su cui far leva per motivare i suoi, perlomeno per non buttare via tutto il finale di stagione (il Sassuolo, nonostante la sconfitta interna col Genoa, resta sempre lì a un solo punto) e per arrivare pronti alla finale di Coppa Italia.
Non si sa ancora cosa ne sarà dell’ex mister della Sampdoria, a fine stagione: il suo Milan tosto e coraggioso – funzionante a momenti alterni durante l’anno; quando le cose non hanno girato per il verso giusto la squadra era piatta, scialba, prevedibile e, soprattutto, inefficace – è lontano anni luce dall’idea estetica di calcio che hanno in società e non ha conseguito i risultati che ci si attendevano (anche se certamente l’ultima partita della competizione-più-snobbata-del-Paese-a-meno-che-non-si-arrivi-in-finale potrà in parte redimerla). Sappiamo però cosa può fare il suo Milan, per quanto tatticamente limitato e quasi autisticamente orientato al gioco sulle fasce, quando ritrova la verve battagliera che ne costituisce il cuore più pulsante: ieri sera ne abbiamo avuto un nuovo assaggio dopo un periodo di appannamento.
Se i rossoneri riusciranno a giocarsi tutte e sei le restanti partite con lo spirito messo in campo contro la Juventus allora i tifosi potranno ancora sperare di togliersi qualche piccola soddisfazione da qui a fine anno e, chissà, magari sollevare al cielo un trofeo che manca da un lustro (per i più smemorati: l’ultimo alloro del Diavolo è la Supercoppa Italiana del 2011).
Se Mihajlović non può dire di aver lasciato a mani vuote San Siro, la medesima consapevolezza può far sorridere Allegri che, oltre ad alcune buone notizie sulla sua Vecchia Signora, ha lasciato il Meazza con tutti e tre i punti in palio. Punto primo, nonostante un avvio quasi rabbioso, la Juve ha dovuto rimontare per vincere e saper capovolgere un risultato sfavorevole è sempre un buon segno per un allenatore: significa che la testa non è partita per la tangente e che la squadra ha risposto presente all’avversità momentanea. Punto secondo: i bianconeri hanno invertito la rotta del match non certo giocando bene, anzi; per almeno un’ora Madama è certo sembrata più organizzata del Milan ma non in controllo degli eventi come dopo il vantaggio di Pogba. E, di norma, vincere partite che si dovrebbero perdere o pareggiare è un altro segnale di quella solidità che poi, alla fine, ti serve imprescindibilmente per vincere uno scudetto. Punto terzo: è una gara in meno sulla lista delle cose da fare, cosa non di poco conto quando ci si sta giocando un torneo lungo come un campionato.
Tornando al cuore del problema, vale la pena ripeterlo: la Juventus non ha giocato bene. Eppure ha vinto. In uno stadio ostico per definizione, contro un’avversaria che aveva ritrovato voglia e motivazioni, per non parlare del primo vantaggio nel punteggio.
Anche ieri sera, dunque, abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione che i Campioni d’Italia sono un osso durissimo da spezzare specialmente da un punto di vista psicologico: da un certo punto di vista, per gli avversari ovviamente, è quasi avvilente osservare la Juve vincere delle partite teoricamente tirate in cui però – almeno in apparenza – ai bianconeri basta quasi il minimo sforzo per portarle a casa. Anche se caricata a testa bassa dalla contendente di turno, anche se attraversa momenti in cui pare patire gli avversari, anche se non sempre sembra in grado di controllare il flusso della partita, l’armata bianconera dà sempre l’impressione di non essere in alcun modo programmata per sballare. Qualunque cosa succeda.
È questa sicurezza di fondo che colpisce più ancora della pur sbalorditiva striscia di risultati utili o del record di imbattibilità di Buffon. Questa Juventus si può battere solo se prima la si polverizza psicologicamente e, a tutt’oggi nonché oggettivamente, non c’è in Italia una squadra in grado di spezzare la solidità mentale di Marchisio e compagni. No, nemmeno il bel Napoli di Sarri.
Ed è per questo che la Vecchia Signora festeggerà quasi sicuramente il quinto scudetto di fila a fine stagione.