Numeri e maglie, il calcio tra ricordo e continuità
Non siamo tra coloro che, dinanzi alla scomparsa di campioni e personaggi importanti per la storia sportiva e non solo, si stracciano le vesti e lanciano acute grida di dolore. A meno che la morte non si prenda un giovane atleta, un ragazzo che magari aveva tutto (o quasi) da dare e da fare (è il caso del giovane ciclista Antoine Demoitié, e su questo genere di incidenti il necessario discorso sarebbe da fare a parte), derubrichiamo puntualmente i decessi a una dimensione naturale dell’esistenza, lasciando che i normali sentimenti relativi si esprimano in forma privata: non pretendiamo debba così essere per tutti, ma siamo tra coloro, ormai pochi, per cui il pudore ha tuttora qualche ragione d’essere.
Spiace, ovviamente, di dover registrare la scomparsa di campioni che, direttamente o meno, hanno regalato tanto allo sport: ultimi nella serie, Johan Cruijff, forse il più forte giocatore europeo di sempre (ma le classifiche in tal senso lasciano il tempo che trovano), e Cesare Maldini, triestìn della banda guidata dal Paròn Rocco, nonché primo italiano ad alzare al cielo, e da capitano, la prestigiosissima Coppa dei Campioni, in un Milan che vedeva tra le sue fila un certo Gianni Rivera e l’amico José Altafini. In questi casi, anche se per quanto concerne Cesarone, peraltro padre di Paolo e iniziatore d’una dinastia pallonara che potrebbe regalare ancora talento al nostro calcio, il discorso non è stato avanzato, si pone da qualche anno a questa parte la questione del ritiro della maglia, argomento che sin dai primi casi (citiamo quelli, assai diversi tra loro, di Franco Baresi, prima occorrenza italiana, Federico Pisani, Gigi Riva, Roberto Baggio, Niccolò Galli e il già citato Paolo Maldini) non ha smesso d’insinuare più di qualche perplessità.
“Moda” affermatasi negli Stati Uniti, orizzonte sportivo diverso da quello europeo e rispetto al quale dovremmo comunque imparare non poco, il ritiro della maglia è una pratica assodata nel mondo cestistico, quell’NBA che un tempo appariva alla stregua d’un mitico Eldorado e che negli ultimi anni tanto si è europeizzata grazie a un’emigrazione transoceanica sempre più massiccia. Con una differenza sostanziale, sin da principio: da molto tempo, la numerazione delle maglie del basket americano è “aperta” nonché nominale (la Serie A di calcio abbandonò quella “tradizionale” 1-11 a partire dal campionato 1995-96, non senza mugugni), il che, oltre a fruttare non poco in termini di marketing, facilitava l’identificazione di un particolare campione col “proprio” numero.
Venendo ai nostri tempi, è chiaro che il 14 di Cruijff, per la peculiarità della sua storia, possa davvero rappresentare un unicum (chi scrive, però, ricorda anche il caso di Jean Tigana, uno dei quattro grandi “moschettieri” del centrocampo francese degli anni Ottanta, anch’egli legato allo stesso numero), ma, sinceramente, l’idea del ritiro della maglia non riesce a convincerci, né punto né poco.
Proveremo a spiegare perché, ovviamente per il semplice gusto di parlare di sport, di “cose belle”, insomma.
- Lo sport, come la vita, si esprime in un lungo continuum di avvicendamenti e riproposizioni: al vecchio si sostituisce il nuovo, in un costante processo di rinnovamento. Il tutto è, peraltro, sorretto dal germe dell’identificazione e della proiezione: perché mai dovremmo privare un giovane tifoso napoletano del sogno d’indossare, un giorno, il 10 di Maradona o un ragazzo romano di guadagnarsi quello di Totti (altra maglia sicuramente ritirata, appena qualcuno riuscirà nell’impresa di convincere il Pupone ad appendere gli scarpini al chiodo)? E lo stesso discorso dovrebbe valere per un brasiliano col 10 in verdeoro, un argentino con el diez e così via…
- E, ancora, ritirare numeri di maglia di calciatori attivi in un’epoca in cui la numerazione era “obbligata” ci pare, peraltro, una contraddizione nella contraddizione: altri, dopo di loro, hanno indossato la stessa casacca, quindi, cosa fare?
- Non solo, la questione si pone anche per un principio di discrimine: su quale base si può decidere che (parliamo in entrambi i casi di calciatori che amiamo) il 3 rossonero del già citato Maldini “meriti” il ritiro e la stessa cosa non valga per il 10 di Gianni Rivera o il 9 di un certo Marco Van Basten?
- Infine: l’idea di un numero ritirato si lega alla concezione filosofico/esistenziale dell’unicità nella storia e questo, in un certo senso, è qualcosa che ci pare molto, molto limitato. Senz’altro è vero che la storia dello sport è un ambito di cui forse si può tuttora vantare un monitoraggio esaustivo, ma, consci come siamo di quanto “piccolo” sia l’uomo rispetto al cosmo, ci pare che l’ansia d’affermare una propria (o altrui) unicità consista in una forma di nevrosi dai tratti un po’ ingenui. Non siamo unici né insostituibili e il mondo andrà avanti, con noi e senza di noi. E questo, piaccia o no, riguarda pure il mondo dello sport. Accettare l’idea della continuità ci pare qualcosa di positivo, di, si perdoni il termine, maturo.
A margine di tali considerazioni, ovviamente opinabili, ci sovviene un piccolo quadretto abbastanza recente, che ci pare gustoso: quando Carlitos Tévez, altro atleta amatissimo da chi scrive, arrivò alla Juve, in occasione della presentazione alla stampa, un giornalista rivolse all’Apache una domanda riguardo al “peso” che avrebbe dovuto sopportare vestendo il 10 che era stato appena lasciato da Alex Del Piero. L’argentino, sulle prime, non capì bene quale fosse l’oggetto della questione e si fece ripetere il quesito: appena capì, sfoderò un sorriso un po’ imbarazzato e rispose più o meno dicendo “Beh, sapete… al Boca e con l’Argentina ho indossato la maglia di Maradona…“. Qualcuno, perennemente in cerca di polemica, volle leggere una sorta di affronto in quelle parole: niente di più sbagliato, giacché l’argentino disse nient’altro che la verità, una verità quasi banale e priva di qualsiasi intenzione lesiva nei confronti del collega. Applausi, conditi da quello che, per noi, è sembrato un monito interessante anche circa l’annosa questione della personalizzazione delle maglie.