Cosa contraddistingue un irregolare? “È innanzitutto un soggetto che non si lascia arruolare da una fazione, perché quand’anche ne sposi alcune ragioni, non le condivide tutte né per sempre. … Soprattutto l’irregolare è un solitario, animato dal sacro fuoco di un’etica della convinzione troppo individualista per fare proseliti”. Ed è da questo paradosso (la regolarità degli irregolari) che parte il libro Sócrates. L’irregolare del pallone, curato da Pippo Russo e uscito di recente nella collana Sorbonne delle Edizioni Clichy.
Per ovvi motivi, in Italia nell’ultimo ventennio si è fatto un gran parlare di depoliticizzazione delle masse attraverso il calcio, di armi di distrazione di massa, e così via. Di come le leadership mondiali abbiano usato lo sport come vetrina per tutt’altri interessi (vale per tutto e per tutti: da Blatter alle olimpiadi di Pechino).
Sócrates ci riporta invece alla memoria un calciatore ben diverso, che ha usato il campo per uscire dal campo; che ha sfruttato la notorietà per promuovere diritti; che ha inteso il ruolo politico del calcio, prima che come opportunità, come una responsabilità. Capace di guardare alla poesia della vita (“Il calcio è un’arte, e perciò dovrebbe essere un’esibizione di creatività … Ci si deve divertire quando si pratica un’arte, non si deve stare a pensare ‘Chissà se vincerò?'”), prima ancora che al lato più economico e materiale.
A cinque anni dalla morte, viene rammentata in tutte le sue sfaccettature la personalità complessa di questo gigante segaligno, che in Italia è stato via via ricordato solo come quel “bidone” che, nella stagione 1984/5, nella Fiorentina non fece gli sfracelli che tutti si aspettavano. E il primo pensiero va al padre, Raimundo: figlio di genitori poverissimi, autodidatta che sposa la cultura come via d’uscita dalla subalternità.
Il nome Sócrates deriva da questo: dalla passione del padre Raimundo per la cultura classica. E la lotta di Sócrates contro la dittatura (lotta peraltro persa, nel breve periodo) viene anche dalla convinzione che la cultura sia una conquista quotidiana, così come la libertà. Lo studio, e avere un mestiere e una missione, sono per Sócrates una via per l’emancipazione.
Così si spiegano le esperienze del Doutor (dottore) che per tutta la prima parte della carriera affiancano e quasi sovrastano il suo ruolo di centravanti nel Botafogo; così si spiegano molte delle citazioni presenti in coda al libro, assieme a foto del nostro da calciatore o negli anni successivi. E così si spiega anche l’esperienza della Democracia Corinthiana: in un paese dittatoriale, una squadra che vince tutto autogestendosi e mettendo ai voti ogni decisione. La notorietà e i successi della squadra impediscono al regime di reprimere la forza del messaggio democratico.
Il calcio come mezzo di liberazione del pensiero contro l’asservimento dittatoriale, e il colpo di tacco come rivendicazione politica. Un numero da spiaggia, spesso inutile – e proprio per questo fondamentale: come atto di resistenza al cinismo della professione. Inessenziale, quindi ribelle. Con dentro ancora l’idealismo del bambino che sogna di diventare un campione, o un dottore. Perché essere campioni facendo solo l’essenziale, lasciandosi ingabbiare dal dovere, è troppo semplice. Ed è questa la vera lezione che Sócrates, e questo volume che lo ricorda, ci chiedono di mandare a memoria.
Il calcio per me è come camminare: da solo, svincolato da un contesto sociale, non è nulla. Quando vai a piedi, non fai niente di speciale: se però a piedi vai in Parlamento a far valere le tue idee, cambia tutto. Così il calcio: se diventa un veicolo per educare la gente, allora è un mezzo formidabile.
Sócrates. L’irregolare del pallone a cura di Pippo Russo Edizioni Clichy, Firenze 2016 Collana Sorbonne ISBN 978-88-6799-246-1 116 pagine, 7,90 euro |