Empoli, dove sei finito?
È ovvio che nessuno si aspettava un ritorno alla vittoria allo Juventus Stadium, naturalmente. Tuttavia, nonostante una sconfitta in casa della capolista Juventus sia un’opzione possibile da mettere in conto per tutte le partecipanti alla Serie A, l’ennesimo tonfo dell’Empoli di Giampaolo non può non generare una domanda: dov’è finita la squadra che tutti avevamo ammirato fino a dicembre?
Per fare un rapido sunto della situazione, i toscani sono arrivati alla pausa invernale con 27 punti in saccoccia (a sole nove lunghezze dall’allora capolista Inter), erano al settimo posto in graduatoria – alla pari col Sassuolo – e avevano nel mirino il Milan, e quindi un eventuale posto in Europa League, distante un solo punto. In più, tanto per gradire, il club sembrava veleggiare verso una quota punti finale addirittura superiore rispetto a quella della passata stagione, ottenuta sotto il timone dell’osannatissimo Sarri. Oggi, invece, sappiamo che gli Azzurri non vincono da gennaio e, per dirla tutta, non hanno ancora mai vinto nel girone di ritorno e hanno fatto solo nove punti in poco meno di tre mesi, ritrovandosi così all’undicesimo posto, in attesa che giochino Atalanta, Torino e Genoa. Se tutte e tre vincessero, i toscani si ritroverebbero i liguri davanti e appaiati con la Dea e il Toro, tra il dodicesimo e il quattordicesimo posto, con Sampdoria e Udinese pronte a insidiare le loro calcagna.
La faccenda si potrebbe liquidare con un semplice quanto banale luogo comune del tipo: “Beh ma è naturale che l’Empoli faccia un torneo a quel livello! Dopo tutto ambisce semplicemente a una salvezza tranquilla! La verità è che hanno volato troppo alto e adesso sono semplicemente in una fase di reflusso che ne sta normalizzando la classifica” perché è verissimo che la squadra agli ordini di Giampaolo è stata progettata per quel tipo di campionato.
Però, per quanto veritiero, questo pensiero sintetico non dice proprio tutto del crollo della realtà empolese ed è interessante provare a riflettere per un momento sulle cause della flessione almeno quanto lo è stato osservare, analizzare ed elogiare il bel gioco messo in mostra dagli inquilini del Castellani fino a Natale. Il tutto tenendo ovviamente ben chiaro in mente che – a oggi – l’Empoli ha comunque due punti in più dello scorso anno e che la salvezza resta un risultato quasi scontato e più che a portata di mano, si può concludere che la stagione in corso, nel suo complesso, è tutt’altro che negativa. Ma proprio alla luce di questo è inevitabile pensare a quanto avrebbe potuto essere migliore se i toscani non fossero incappati in questa sorta di vortice asfittico senza fine.
Primo punto: l’esiguità della rosa. Già dalla gestione Sarri, l’Empoli ha costruito la sua forza sull’efficacia dell’espressione corale e della fluidità dell’impianto di gioco dando, nei suoi momenti migliori, la sensazione di un meccanismo perfettamente oliato e – se perfettamente funzionante – in grado di potersela giocare alla pari con chiunque. Però l’efficacia che ha raggiunto il gioco di squadra è sempre stata strettamente legata alla contemporanea presenza in campo di quelli che sono i dodici (tredici, contando anche Barba – che però è stato ceduto in gennaio allo Stoccarda, unica cessione invernale di rilievo) giocatori che possono considerarsi a tutti gli effetti i “titolari” della formazione.
In poche parole, l’Empoli non ha ricambi all’altezza e, in un sistema in cui la coesione e la conoscenza reciproca sono praticamente tutto, alla lunga la compagine ha pagato dazio in quelle occasioni in cui ha dovuto impiegare le riserve, specie in difesa (Ariaudo, Camporese e Bittante non valgono Tonelli, Barba o Laurini, probabilmente nemmeno Costa), non solo per un discorso di valori assoluti ma anche per la scarsa conoscenza in partita dei “panchinari” coi compagni e alla loro disabitudine a solcare il terreno di gioco – in alcuni casi, tipo Camporese o Ariaudo, reiterata negli ultimi anni. La squadra non cambia identità sostituendone i pezzi, l’impianto di manovra e i principi di gioco restano invariati ma è chiaro che vengano meno resi meno bene da interpreti secondari. In tutto ciò viene spontaneo chiedersi cosa sia successo a Dioussé, rivelazione di inizio campionato e praticamente un desaparecido in questo 2016. Mah.
Punto secondo: i singoli cali dei singoli giocatori. In particolare di tre giocatori con un quarto “caso speciale” che affronteremo subito dopo. I tre di cui sopra sono: Paredes, Zieliński e Saponara. Il sistema empolese esalta la gestione del pallone e il possesso palla, dunque il centrocampo ricopre un ruolo chiave nelle economie di gioco della compagine e, non a caso, è proprio sulle prestazioni ultimamente ondivaghe di tre centrocampisti che poniamo la nostra lente.
Il polacco non è mai stato un esempio di continuità, questo va detto, ma nei primi quattro mesi di campionato ha avuto una costanza encomiabile, alternando prestazioni quasi sempre sopra la sufficienza. Come diversi suoi compagni, però, ultimamente anche lui è finito in quel tunnel di mediocrità dal quale era sembrato poter sfuggire fino a Natale e le sue giocate non sono più così facilmente lucide come prima.
Lo stesso si può dire di Paredes, capace di stupire tutti a inizio anno e farsi rimpiangere dai tifosi romanisti: ora, invece, l’argentino non riesce più a dirigere l’orchestra con la grazia di qualche tempo fa e sta mostrando più di un limite in fase di non possesso. Normale per un giocatore della sua età, tutto sommato ancora in formazione, ma diversi dei problemi degli Azzurri passano anche dalla sua difficoltà nel far partire le azioni.
Saponara, invece, al di là di qualche match dove ha rispolverato la sua verve (come nell’1-1 casalingo contro il Milan) pare essersi del tutto spento. Le difficoltà soprattutto offensive degli Azzurri risiedono anche nel suo calo: fino a gennaio Ricky aveva fatto registrare 5 gol e 6 assist. Ora, invece, è a digiuno di gol da dicembre e, tra febbraio e oggi, ha messo a segno solo 2 assist, troppo poco per un giocatore in odore di Nazionale non più tardi di dieci settimane fa. A tutto questo ora s’è aggiunto il problema fisico riscontrato ieri sera allo Stadium, che rischia di complicare ulteriormente la sua fine di stagione.
A questi tre va infine aggiunto il “caso particolare” che risponde al nome di Łukasz Skorupski, portiere titolare dell’Empoli per questa annata e anche per la prossima, il cui cartellino è però di proprietà della Roma. Il polacco appartiene a quella folta schiera di estremi difensori dallo stile ruvido ma spettacolare che, però, spesso portano in dote una certa qual dose di imprevedibilità (e la partita di ieri sera ne è stata un potente manifesto, tra miracoli veri, uscite alla carlona e rinvii da compilation di Mai Dire Gol). Di fatto, schierarlo significa lanciare in aria una moneta: se esce testa Skorupski farà un’ottima partita, se esce croce occhio a quel che potrebbe combinare perché rischia di affossare il risultato finale con un paio di errori marchiani di norma decisivi. In sostanza, il polacco non è solo genericamente discontinuo ma anche all’interno della stessa partita può rivelarsi essere la migliore o la peggiore delle assicurazioni sulla vita (della porta).
Punto terzo: il calo fisico. È innegabile che la pausa invernale ci abbia restituito un Empoli più lento e macchinoso rispetto alla versione pre-natalizia e quindi, forse soprattutto, una squadra molto più vulnerabile in difesa. I meccanismi di Sarri raffinati da Giampaolo presuppongono una lucidità nella gestione del pallone che dev’essere sempre quasi totale perché tanto, forse tutto, dipende dall’occupazione degli spazi che l’Empoli attua. Se le gambe non vanno più e il cervello si ottenebra, il copione salta e i toscani non riescono più a essere efficaci come potrebbero, tanto davanti quanto dietro. Che abbia inciso anche lo scarso ricambio dalla panchina per il discorso dell’esiguità delle risorse a disposizione? Certamente sì.
Punto quarto: segnano solo in due. Questa stagione sta dimostrando quanto Maccarone possa ancora essere decisivo in Serie A ma, guardandola da un altro punto di vista, appare ugualmente chiaro che se non segna Big Mac (e, talvolta, Saponara) l’unica opzione che resta a Giampaolo è sgranare il rosario. Con sedici gol in due, l’accoppiata tra il centravanti veterano e il trequartista ex Milan ha di fatto firmato quasi la metà dei gol complessivi della squadra; gli altri due “bomber” della rosa sono Pucciarelli – a quota quattro – e Zieliński, andato a rete tre volte. Nel reparto attaccanti i vari Mchedlidze, Livaja e Piu assommano la bellezza di una sola marcatura in tre. Tonelli, per dire, ne ha segnati due da solo. Del resto lo dicono brutalmente i numeri: 11 gol in 14 partite messi assieme in tutto il 2016 non sono un buon risultato, specie se comparati ai 23 in 17 del 2015.
Punto quinto: gli avversari. Una volta individuato l’undici titolare, Giampaolo s’è affidato ciecamente a quei dodici/tredici giocatori di cui si fida maggiormente e, dopo un minimo di rodaggio iniziale tra agosto e settembre, la squadra ha finalmente ingranato la quarta e ha potuto filare a velocità di crociare toccando vette in cui efficacia ed estetica erano abbinate in modo quasi perfetto e ben poche squadre di Serie A potevano rivaleggiare con l’Empoli da questo punto di vista. Peccato però che nel calcio esistano anche gli avversari e il girone di andata ha permesso alle altre contendenti di studiare il sistema Sarri aggiornato al Giampaolo 2.0, permettendo loro di comprendere cosa fosse uguale all’anno passato e cosa nuovo. Il risultato è che gli altri tecnici del campionato hanno intuito come arginare e ostacolare gli Azzurri (per esempio marcando più intensamente Paredes o impedendo ai difensori centrali di avere uno scarico facile sui centrocampisti o, ancora, limitando il crearsi degli spazi “senza padrone” in cui Saponara si infila benissimo), disinnescandone alcuni dei principi base e facendo crollare spesso il castello toscano.
Ancora una volta, dunque, il nostro campionato ci ha regalato una squadra simpatica, sorprendente, frizzante e appagante per poi togliercela dopo qualche mese di scintillii incoraggianti subito appannati dalle difficoltà che nel calcio possono apparire da un giorno con l’altro. Tuttavia, per quanto ultimamente sia sembrato essere imprigionato sulle montagne russe, l’Empoli non è assolutamente morto: spetta adesso a Giampaolo riprendersi coi risultati quegli elogi che fino a gennaio piovevano copiosi su di lui.
Dopo il Sarri 1.0 e il Giampaolo 2.0, forse i tempi sono maturi per un Giampaolo 3.0.