Calderón il veggente
Malgrado sia il primo aprile, saremo serissimi. Come la faccia di un perplesso Florentino Pérez, subito sopra a queste parole. E parleremo del Real Madrid, quella squadra che un tempo ebbe anche una vaga importanza nello sport mondiale, prima che l’unico metro di valutazione diventassero le figurine (dei calciatori) e la vendita delle magliette.
Possibile, possibilissimo, che un certo tipo di pensiero mi faccia velo. Ma colpisce, del Real Madrid, la capacità di frullare allenatori di grido sulla base di motivazioni assurde. Ci sta, che Capello non resti simpatico e divida gli animi; ma rinunciare a lui due volte (1997, 2007), entrambe dopo avere vinto il campionato, ha un che di masochistico.
Così come la gestione di Ancelotti: a rischio esonero, poi vincitore della Décima, poi esonerato al secondo anno dopo avere concluso la Champions in semifinale e il campionato al secondo posto. Ahi, che disonore!
Peraltro si dice che proprio Capello sia stato contattato, mesi fa, per sostituire Benítez («sono in pensione» sarebbe stata la risposta del tecnico friulano). Col risultato che è arrivato un fedelissimo del “capo”, cioè Zidane – portando qualche novità e un buon quantitativo di inesperienza. Dice: anche Guardiola era così. Facile rispondere: e quindi?
Ed eccoci quindi alla fiera della minestra riscaldata: Ramón Calderón, già autore del secondo esonero di Capello, che sproloquia sul possibile nuovo allenatore del Madrid. Ovverosia il Normal One, Mourinho: quello che fa discutere e divide gli animi prima ancora di firmare qualsivoglia contratto. Nonché quello che dovrebbe sostituire un’icona madrilena come Zinedine Zidane, definito dal medesimo Calderón «un allenatore da Segunda B» (lo diciamo agli amici cascati nel tranello: non è “di Serie B”, meglio “di terza categoria”).
Dimentichiamo per un attimo l’ovvio (Mourinho arriverà “se non firma per il Manchester United”: beh, grazie del pensiero), e vediamo i contenuti: senza il portoghese «adesso c’è più tranquillità: è una persona che provoca conflitti indesiderabili». Un pensiero che, agli occhi di un José abituato alla strategia della vittima aggressiva, diventa persino un merito. Sarebbe ben più logico chiedersi se è il nome giusto non per la piazza, ma per una squadra del genere, per giocatori del genere. Saprà convincere, in caso di necessità, Gareth Bale (mister Centonove) a fare il terzino, come fece con Eto’o? Questo il veggente Calderón non lo dice.
Infine, c’è spazio per una ulteriore stoccata a Pérez, definito «collezionista di figurine», dicendo che ha l’album ma non sa come metterle insieme – e qui siamo d’accordo, ma molto dipende anche da quale pulpito viene la predica; e una nota sul Barcellona, nel quale «le cose stanno andando bene, e i risultati sono il riflesso di un lavoro ben fatto». Allora diciamolo in anticipo: se Luis Enrique ha imparato da Guardiola, saprà come sgonfiare il pathos di Mourinho. E avrà intelligenza a sufficienza da non ascoltare neanche Calderón.
Perché poi, alla fine, l’errore di base è sempre quello: non sapere scegliere il nome giusto, e andare invece su figurine (purtroppo per lui, Ancelotti “vendeva” poco) o passacarte di lusso (lo è stato Schuster per Ramón, lo era Benítez: non me ne voglia, ma si è visto ben presto che il suo vero successo era di non essere troppo ingombrante per l’Ego di Florentino). Pérez e Calderón si guardino in faccia (possibilmente senza sputarsi a vicenda…): il giocattolo l’hanno rotto anche e soprattutto loro. Se vogliono vedere riflessi di un lavoro ben fatto, studino dal Barça, invece di continuare in battaglie a distanza e ricette di terza categoria.