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Che sabato, ragazzi.

Che rugby: dalle 14:30 le emozioni di Irlanda-Italia, alle 17 Inghilterra-Galles.

Una gara a pronostico apparentemente chiuso (ma c’è l’Italia, ci riguarda), mentre l’altra è come una finale anticipata. Potrebbe andare peggio, diciamo: verdi contro azzurri e bianchi contro rossi. Ricordi amari per italiani e, soprattutto inglesi: ferite mondiali ancora fresche, nonostante sembri passata una vita.

Specie per gli inglesi, traditi e trafitti nel mondiale di casa, e ora a loro agio in testa alla classifica. Piacevolmente a loro agio, se ben s’osserva: punteggio pieno, sguardo sullo Slam, scalpo dell’Irlanda e Millennium Trophy messo in bacheca.

Rispetto all’incubo iridato, da così a così – come diceva quella pubblicità – e il merito non può che essere di Eddie Jones. Che, con pragmatismo anglo-sassone e australiana spavalderia, ha preso in mano una squadra depressa e le ha detto: pensa all’oggi, all’immediato. A vincere. Quante più touche, mischie e partite possibile; senza voli pindarici, filosofie dei massimi sistemi, sguardi al “disegno generale” e programmi pluriennali. Anche perché son tutte cose che se riescono vanno alla grande, ma se vanno male portano al disastro: dalla gestione del caso Burgess a un Robshaw mai adatto a fare il capitano, Stuart Lancaster la zappa sui piedi se l’era data da solo ed è di leadership che aveva e ha bisogno la squadra. La personalità dei senatori, il peso del cap, saper trascinare. Dalla guida tecnica in giù, nessuno escluso: Jones non sarà inglese ma ha 3 vittorie su 3, e gode praticamente di un match point in casa.

E il Galles? Torna sul luogo del delitto, certo. Ma sembra passata una vita da quella sfida di Twickenham, dalla gioia unica ed eterna di batter l’Inghilterra in casa sua nella “sua” Coppa del Mondo. Senza nemmeno fare una gara perfetta, ma rimanendo incollati a un avversario messo sotto pressione dai suoi casi e dalle aspettative, dalla mancanza di carisma. Nel giorno in cui la captaincy di Robshaw tradì tutta Londra, l’inizio della tragedia. Il 26 settembre non è ieri, ma nemmeno un secolo fa: Galles che c’è ma non ha impressionato con i francesi, dragoni chiamati a bissare l’impresa.

Noi? Sempre lì, cioè male. Anche rispetto all’anno scorso, dove lo sfizio di Edimburgo ci aveva evitato il cucchiaio di legno. Riconoscimento poco ambito, verso il quale però la strada, ahimé, pare spianata: l’ultimo ko dell’Olimpico – nonostante i 67 mila spettatori – racconta di una squadra incerottata, di un selezionatore a fine ciclo. Ridimensionando (forse) il quasi hurrà di Parigi all’esordio; confermando – a sentire i più pessimisti – la veritiera testimonianza del ko interno con l’Inghilterra. Questi siamo e, fuori dal sistema del 6 Nazioni, la Georgia preme: rialziamoci, sennò sono dolori.