Sarebbe divertente parlare di Christoph Kramer, che ci è ricascato di nuovo (stordito e colpito da amnesia per la finale dei mondiali, è uscito malconcio dopo una pallonata in Villarreal-Bayer); sarebbe opportuno parlare della Lazio e dell’Europa League, e sicuramente sarebbe poco divertente parlare una volta di più di Zamparini (per fortuna di chi scrive, ci hanno già pensato i colleghi).
E quindi parlo di un tecnico che mi sta a cuore, in una squadra che potrebbe essere una qualunque. Il tecnico è Giampiero Ventura, la squadra è il Torino. Leggo voci discordanti – meglio: voci con uno strano tipo di coerenza. Provo a spiegarmi.
Primo lato. È una tradizione che, nei dieci anni della proprietà di Urbano Cairo, la tifoseria in estate contesti il calciomercato granata. Benone: nell’estate 2015 non è stato così, anzi la fiducia sul Toro era unanime. Dopo la cessione di Darmian, era uscita fuori una squadra rinnovata, ringiovanita e che sulla carta sembrava perfetta per un campionato nel quale uscire alla distanza. Al punto che il 31 agosto, a Radio Anch’io Sport, Alberto Cerruti chiedeva a Ventura se avrebbe firmato per il terzo posto.
È chiaro che sei mesi dopo le cose possano stare ben diversamente: perché, per dirla con Angelo Massimino, non si conosce il costo dell’amalgama. Cioè: non si sa ancora cosa bisogna fare, o sacrificare, per avere la giusta chimica di squadra. Quella che, al momento, manca. «Non riconosco la squadra», ha detto l’allenatore genovese: e come ammissione di responsabilità non è da poco.
L’altro lato. Dando per scontato l’addio di Conte alla nazionale (il Chelsea lo aspetta a braccia aperte), il nome di Ventura è tra i più caldi per il prossimo biennio. E non senza torti: si vuole ripartire da un gruppo giovane (del quale, peraltro, fanno parte alcuni granata), e non dimentichiamoci che Ventura alla nazionale ha già “regalato” Darmian (e in passato ha svezzato anche Bonucci). La sua capacità di valorizzare i giovani e fare gruppo non dovrebbe essere in discussione. Però.
Però vedere che Nikola Maksimović potrebbe raggiungere Darmian a Manchester non basta. Così come non basta ricordarsi di come, dopo una stagione 2012/13 chiusa al 16esimo posto, è arrivata un’annata da coppe europee (a spese del Parma, occhei): due anni fa, Hellas Verona-Torino era uno scontro da Europa League (sic transit gloria mundi). Per poi fermarsi soltanto agli ottavi di finale: mica una gitarella.
La classifica “piange”, è un dato di fatto. Nel migliore dei casi, si potrà lottare per l’ottava piazza; nel peggiore, bisognerà guardarsi indietro. Ed è normale che i tifosi (che pure, secondo un sondaggio di TuttoSport, vedono meglio Ventura che qualsiasi altro allenatore, per la prossima stagione) rumoreggino. Il bel Torino che giocava a viso aperto si è inceppato, questo gruppo non sa gestire la pressione. Ed è normale, per un gruppo molto giovane.
Ecco, quello che non mi va giù è sentire non la contestazione in sé, ma quale contestazione: Ventura vecchio, superato, un integralista incapace di cambiare modulo (come se farlo aggiungesse certezze a un gruppo che ne ha poche), incapace di adattarsi a un calcio italiano diverso. Aggiungo: a Venezia era 3-4-3, a Pisa e Bari 4-2-4. Non proprio l’impronta di un integralista. Dico io: ma è lo stesso Ventura di un anno fa, di due anni fa? È lo stesso che è nazionabile?
Per carità, ci sta tutto che l’epoca di Ventura al Torino sia finita, e a giugno ci si saluti con una stretta di mano. Ma no, non definitemelo antiquato: è il tecnico che ha riportato il Toro nella parte sinistra della classifica, laddove mancava dalla prima metà degli anni Novanta. Quando i vari Immobile, Maksimović, Baselli, Zappacosta, Belotti e Benassi erano bambini entro i 5 anni di età – e non che ora siano diventati improvvisamente ultra-maturi. Ci sta che sia finita – ma non di trasformare un maestro di calcio in un vegliardo incapace.