Sacchi sulla Juve: “È come il Rosenborg, così in Europa non si vince”
Non sono mai stati un mistero gli screzi fra Massimiliano Allegri e Arrigo Sacchi, protagonisti, negli ultimi anni, di alcuni litigi piuttosto infantili, ma le sentenziose parole rilasciate oggi dall’ex commissario tecnico della Nazionale a LaPresse sono state piuttosto inaspettate. C’è chi ha parlato di un vero e proprio attacco alla Juventus, chi dell’ennesimo episodio dell’infinita lite fra i due ex allenatori del Milan, ma per quanto tali parole possano sembrare piuttosto fuori luogo, va ben considerato che negli ultimi anni Sacchi non ha mai voluto nascondere le sue opinioni, nemmeno di fronte a una squadra che sta lottando per vincere il quinto scudetto consecutivo.
La prima parte dell’intervento riguarda puramente la Juventus e i motivi per cui i bianconeri non starebbero vincendo in Europa; perno del ragionamento è il confronto con il suo grande Milan. La seconda parte riguarda invece le categorie secondo le quali Sacchi suddividerebbe i vari allenatori, scontata l’assenza di Allegri dalla cerchia che lui definisce degli eletti. La terza e ultima parte è un vero e proprio elogio ad Antonio Conte, un innovatore secondo il profeta di Fusignano, così come Di Franceso, Spalletti, Sarri, Sousa e Giampaolo; è forse l’italianità l’unico problema dell’allenatore della Nazionale.
“La Juve – ha detto Sacchi – è dieci anni avanti a tutte le altre. Il suo limite sono i verbi. Noi al Milan ne coniugavamo tre: vincere, convincere, divertire. La Juve ne coniuga uno: vincere. E’ una debolezza. Si dirà: ‘Ma in Italia continua a vincere’. E io dirò: anche il Rosenborg vince sempre lo scudetto in Norvegia. Ma ciò che conta è la Champions League e in Europa la Juventus fatica“.
“Io divido gli allenatori in tre categorie. La prima è quella che comprende un piccolo drappello di geni, di innovatori, che mettono il gioco al centro del loro progetto. La seconda è quella degli orecchianti che seguono la moda senza sapere un granché. La terza riguarda quelli orgogliosamente aggrappati al passato, che fanno della tattica esasperata il loro modus operandi, che sono ingessati a un solo sistema di gioco. Max è una via di mezzo tra le prime due: è un grande tattico, sa cambiare in corsa, però non deve accontentarsi solo di vincere“.
“Conte è un autentico fenomeno, deve solo spogliarsi di una certa italianità. Che significa essere più coerente. Il calcio totale non ha molto a che vedere con l’italianità. Io Antonio l’ho visto allenare: ha idee chiare, talento, inventiva. È ora che si tolga di dosso la paura. Basta giocare con la sindrome di Pollicino addosso: palla a noi, non agli altri“.