Infantino e il futuro (prossimo) del calcio
Alla fine, ce l’ha fatta, Gianni Infantino: nome italianissimo (padre calabro, madre lombarda), doppia cittadinanza, tricolore ed elvetica, al di là delle dichiarazioni di prammatica, svizzero per biografia e profilo professionale che lo vedono proveniente da Briga (Cantone Vallese, vi si parlano francese e tedesco), studente di legge a Friburgo (quella elvetica, appunto) e da sempre legato all’UEFA. Uomo di Platini, con annessi e connessi, pure l’alone di sospetto per un caso dai risvolti tuttora poco chiari (l’idea di chi scrive è che le Roi Michel sia stato vittima di un autentico “trappolone” orditogli dall’amico-nemico Sepp Blatter: chi mai emetterebbe fattura per una tangente?), tenendo ben presente che, a certi livelli, chi ha la coscienza intonsa non ha, praticamente, nessuna chance d’approdare.
L’ex segretario generale UEFA ha vinto al secondo scrutinio, come non avveniva dal 1974, quando João Havelange (altro bel crostino) riuscì a scalzare l’inglese Stanley Rous e a divenire il primo (e sinora unico, se si esclude l’interregno di emergenza di Issa Hayatou, causa i problemi giudiziari degli ultimi mesi) presidente FIFA non europeo della storia. Dopo gli 88 voti a 85 su Salman Bin Ibrahim Al Khalifa al primo turno (27 per Alì Bin Al Hussein, poco più d’un pugno per Jérome Champagne), il nono presidente del calcio planetario scaturisce dalle 115 preferenze (88 ad Al Khalifa, 4 ad Al Hussein) che non hanno mancato di sorprendere pure gli addetti ai lavori. Non è un segreto, infatti, che il favoritissimo della vigilia fosse proprio il bahreinita Al Khalifa, presidente della federazione asiatica, teoricamente supportato da parte dell’Asia, da tutta l’Africa e dalle federazioni blatteriane: a lui è capitato, come talvolta accade, d’entrare in conclave da papa, per uscirne cardinale, “bruciato” dagli accordi dell’ultim’ora che hanno visto convergere su Infantino buona parte dei sostenitori di Al Hussein. E profetico era stato, nel suo piccolo, il nostro (nel senso della presente testata) editoriale di venerdì che, a poche ore dallo svolgersi della consultazione, si focalizzava proprio su colui che sarebbe divenuto presidente.
Esaurite le congratulazioni più o meno pelose e i discorsi di circostanza, si deve dunque attendere Infantino al varco, nella consapevolezza che la sua elezione potrebbe corrispondere a una nuova centralità per il Vecchio Continente: non si tratta di voler difendere contro ogni evidenza lo status quo (lungi da chi scrive un pensiero simile), bensì di evitare la paradossale situazione d’un organo collegiale “ostaggio” dei suoi membri più poveri e, in quanto tali, corruttibili; vale a dire il sistema di potere che ha caratterizzato nel suo complesso la gestione Blatter. Certo, le dichiarazioni a favore del mondiale esteso a 40 squadre non sono affatto rassicuranti (ma anche Al Khalifa si era detto favorevole), però il lavoro svolto negli anni dalla UEFA a proposito del controllo sulle scommesse è stato senz’altro positivo (la questione del monitoraggio sulle torte è assolutamente complessa) e le idee circa la necessità di rotazione per le cariche rappresenterebbe una delle novità più logiche (e inedite) viste a certi livelli. Ovviamente, quest’ultimo discorso non può non far pensare a un lesto rientro in pista di Platini che, intanto, s’è visto ridurre da 8 a 6 anni la squalifica comminatagli a dicembre (assieme a Blatter) e, nel frattempo, potrebbe sperare in un’ulteriore riduzione di pena.
Molte sono le questioni già sul tavolo della presidenza, non ultima quella riguardante l’atteggiamento da tenere circa le federazioni “svincolate” dagli stati nazionali (l’esempio eclatante, anche per conclamata potenzialità sportiva, è quello della Catalogna; rabbrividiamo al pensiero di cosa potrebbero dichiarare Salvini o Borghezio), di certo, i molteplici nodi e intrecci tra sport e interessi economici non sempre cristallini (le TPO, Third Part Ownership, le quote di giocatori detenute da terzi, ma anche le multiproprietà di club che potrebbero disputare le stesse manifestazioni) costituiranno un banco di prova notevole per chi è chiamato a governare un mondo articolato e importante come quello del pallone.
Nella speranza, non troppo ingenua, che le cose possano andare per il meglio, al momento non resta che fare gli auguri sia a Infantino sia, soprattutto, al calcio nel suo complesso.