Adesso tocca a Sarri
Sarri non è Sacchi, Benitez non è Canà: forse impareremo a regolarci, o a valutare il calcio senza anacronismi e paragoni stupidi. E gratuiti.
Direi che è questo il verdetto delle ultime settimane che, almeno a uno sguardo esterno, hanno ridimensionato il fenomeno Napoli e, forse, tutti i paragoni con gli anni scorsi. Così denigranti nei confronti di uno dei tecnici più vincenti – albi d’oro alla mano – tra quelli in attività, esageratamente ebbri di retorica nell’esaltare l’ex tecnico dell’Empoli.
Almeno, ora tocca all’ex tecnico di provincia, idolo della platea di una Serie A perennemente bisognosa di nuovo eroi, meglio se autoctoni.
Ma limitare quanto fatto dal Napoli di quest’anno alla solita retorica del maestro italiano relegato nelle serie minori da un football troppo desideroso di star e grandi nomi sarebbe limitante, e sbagliato: dietro quest’annata c’è molto altro e questa stagione può essere davvero quella della svolta.
È proprio per questo che adesso tocca a Sarri, per davvero. Ora che Juventus e Milan ne hanno ridimensionato volo e ambizioni, e che lo schiaffo del Villareal ha reso da cosmopolite a domestiche le ambizioni di questo 2015-2016.
Tocca a Sarri perché il linguaggio del corpo di certi azzurri preoccupa. Perché il rammarico di aver perso una possibile sfida con giganti del calcio continentale come Borussia Dortmund, Liverpool, Manchester United, Siviglia e Tottenham può stritolare un ambiente che vive d’entusiasmo e passione.
Tocca a Sarri perché la Juventus non è così lontana, almeno a livello di classifica. Occorre ricostruire quello slancio con cui i partenopei mordevano qualsiasi avversario, qualsiasi partita. Ripartendo da Higuaín, proteggendolo da critiche esagerate e fuori luogo, specie davanti ai suoi 26 gol stagionali. Ma ripartendo anche dagli altri, perché il Napoli non sia più Pipita dipendente.
Tocca a Sarri dimostrarci che sì, non è (ancora) Sacchi ma sa quel che fa: infilare una vittoria dopo l’altra e prima o poi la Juve scivolerà.