Che non sia un Blatter 2.0
Si vota, salvo inconvenienti dell’ultimo minuto. Elezioni anticipate, e si parla italiano. No, il governo Renzi non è caduto sulle unioni civili: parliamo, tanto per cambiare, delle elezioni in seno alla FIFA. Quelle che, sulla carta, dovevano vedere lo scontro tra Blatter e Platini, finalmente senza interposta persona; e quelle che ci vedranno orfani di entrambi, viste le insospettabili liaison tra i due.
Quello che più mi stupisce, però, è il silenzio generale: oggi si vota la massima carica del massimo organo internazionale con potere sullo sport più praticato e famoso al mondo, e quasi non c’è notizia, non c’è attesa. Verissimo: manca anche la personalità. Platini era un nome conosciuto e rispettato da tutti (anche per alcune scelte controcorrente: ritirarsi nel fior della carriera, mantenere un certo tono e stile); di Blatter, non mi stancherò mai di ricordare come si è fragorosamente annunciato al mondo, nel lontano 1998.
Proviamo almeno a guardarci un minimo intorno, e a capire da che parte tira il vento. Non c’è Blatter, non c’è Platini, non c’è nessuna voce troppo forte. Ma, come è normale che sia, c’è comunque un cast internazionale: il principe giordano Ali bin Hussein (sì, lui: quello che alle elezioni del maggio 2015 è uscito malamente contro Blatter, malgrado avesse l’appoggio dell’Europa), lo sceicco bahreinita Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa (che a bin Hussein ha poi scippato la vicepresidenza), il francese Jérôme Champagne (che da diplomatico si è convertito in calciofilo grazie a Francia 1998), il sudafricano Tokyo Sexwale (già attivista anti-apartheid, un passato a Robben Island insieme a Mandela), e lo svizzero Gianni infantino.
Molte figure sono già sufficientemente compromesse (Champagne è stato consulente di Blatter per 11 anni; Infantino era il braccio destro di Platini; e così via), ma bisogna anche riconoscere che è impossibile non esserlo: quando un capo governa per un ventennio, o si fanno i conti con lui oppure si sparisce dalla circolazione (con dignità, ma senza altre soddisfazioni). Le proposte sono le più ovvie: una migliore ridistribuzione degli introiti verso le federazioni più squattrinate, dividere la FIFA in due rami (economico-finanziario vs. sportivo), e così via. Insomma, in campagna elettorale tutto è sempre più bello e possibile (anche se a guardare le primarie statunitensi a volte non si direbbe…).
Ma oggi vogliamo fermarci qui: a Gianni Infantino. Con quel nome, come dire?, così italiano. Eppure svizzero, eppure di stretti legami con la Francia (cosa che, in Africa, aiuta non poco). Gioca in casa (si vota a Zurigo), e sulle colonne del Corriere della Sera si è detto sicuro della vittoria (Se non verrà eletto, rimarrà alla UEFA? «Non mi pongo il problema: il 26 febbraio sarò il nuovo presidente della FIFA»). Andiamo a spigolare parole e programma.
Già il fatto che Mi manda Platini: viste le ultime magagne, dobbiamo preoccuparci? Poi «Il calcio va restituito alla FIFA e la FIFA al calcio»: la seconda che hai detto. «Ho sempre combattuto per il bene del calcio: migliorare gli eventi, far crescere gli introiti, spazzare via le discriminazioni, applicare una buona governance che soddisfi tutte le Federazioni»: vabbè.
La cosa inquietante è che poi comincia a blatterare (sic): «Dalle superpotenze alla piccola isola del Pacifico, tratterò ogni membro Fifa con lo stesso rispetto. È ciò che ho sempre fatto alla UEFA», ed è ciò che ha sempre fatto anche Blatter, conscio che ogni testa vale un voto. «Cinque anni fa, quando ha ottenuto la Coppa del mondo, il Qatar ha partecipato a un regolare processo di candidatura. Non contribuirò a queste speculazioni»: Sepp approva. «Oltre a lavorare sull’edizione [dei Mondiali] a 40 squadre, mi impegnerò a ridistribuire almeno il 50% del gettito FIFA ai Paesi membri per potenziare lo sviluppo del calcio nel mondo»: secondo me, una edizione a 180 squadre (30 gironi da 6 squadre ciascuno, si qualificano le prime quattro con il ripescaggio delle migliori 8 quinte classificate; dopodiché eliminazione diretta, ci mancherebbe) è migliore.
Alla fine, dovrebbe essere lotta a due tra Infantino e Al-Khalifa. Bin Hussein ancora fuori dai giochi: aveva fatto ricorso al TAS di Losanna (ancora Svizzera: casa Infantino) per rinviare il voto e farlo svolgere dentro cabine trasparenti, per… trasparenza (impedire il vecchio gioco di poter fotografare il proprio voto, come “prova di fedeltà”); una mossa a garanzia di tutti. Respinto, con perdite.
Come le speranze di uno che dalla FIFA si aspetterebbe che rimettesse al centro del calcio non il denaro, ma l’arte (intesa in senso lato); che mettesse una scomunica su TPO, TPI e TPchipiùnehapiùnemetta; che nel programma avesse qualche soldo in meno, e qualche ispirazione in più. E, tanto che ci fosse, magari ridesse il Pallone d’Oro a France Football, senza immischiarsi. Insomma, che fosse il presidente dei calciatori, non delle federazioni. Altrimenti avremo soltanto un Blatter 2.0.