Il senso di una fine

«La nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato».

Julian Barnes, nel suo romanzo “Il senso di una fine” del 2011, racconta la storia di un uomo, tale Tony Webster, che si ritrova a fare i conti con il suo passato e si scontra con la fallacia della storia, «quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione». Tony passa tutto il libro a seguire indizi che tracciano un percorso fatto di ricordi inaffidabili e sbagliati, flashback cristallizzati come immagini nella memoria, ma con i dettagli offuscati dal tempo. Alla fine arriverà alla conclusione che la nostra vita non è altro un miscuglio di ricordi sbiaditi e storie raccontate su basi errate.

Ieri Francesco Totti e la Roma si sono detti “basta”. Non ufficialmente, non con una conferenza stampa, non con una cerimonia d’addio. Ma con un susseguirsi d’eventi che tra le righe hanno scritto proprio un messaggio di saluti finali: le voci che davano Totti malinconico e ormai solo durante gli allenamenti, l’intervista del capitano in cui chiedeva più rispetto da parte di mister e società, l’incontro con Spalletti nella mattina di domenica, la decisione di andare via da Trigoria (se abbia deciso di andare via lui o se gli abbiano chiesto di andarsene conta veramente poco) e i titoloni dei giornali prima di Roma-Palermo.
Fin dai tempi di Rivera e Mazzola, passando per Baggio-Del Piero e lo stesso Totti-Del Piero, all’Italia pallonara piace l’idea di “staffetta”, di “bianco o nero”, “l’uno o l’altro” e quindi ci si è posta subito la domanda: state con Totti o con Spalletti? Con la bandiera, il capitano, l’amore per i colori o con il mister che deve pensare al bene della propria squadra e non può permettersi di far giocare un giocatore solo per una questione di “rispetto”?

Sinceramente: ma chissenefrega da che parte decidiate di schierarvi. Il punto non è questo. Il punto è che Totti ha vissuto una vita calcistica tale da diventare più famoso della squadra stessa, forse troppo piccola per contenere la luce della sua stella. I flashback della sua carriera sono immagini che resteranno nella nostra memoria per sempre. Rovinare i ricordi della gente scrivendo l’ultimo capitolo della storia in maniera goffa e poco assennata è un rischio che il numero 10 della Roma non avrebbe dovuto prendersi. A volte rendersi conto della reale situazione delle cose e della propria collocazione all’interno del contesto in cui si vive è meglio del ribellarsi in nome di ciò che si è stati in passato.

Come dice Barnes, la nostra vita è solo la storia che ne abbiamo raccontato: con una fine del genere, non vorremmo mai ritrovarci un giorno, tra trent’anni, di fronte a una persona che dica «Totti? Sì, bravo, ma niente di che».
La storia di Totti merita un altro finale, per non rischiare di rovinarne la memoria.

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Francesco Mariani