Alzi la mano chi si è stupito che il capitano del Camerun, Stéphane Mbia, abbia scelto di trasferirsi in Cina. Va bene, giocatore in carriera… ma non questo nome irresistibile. Un giocatore del genere può permettersi di monetizzare, senza rischiare di perdere il posto in nazionale. Un po’ la stessa cosa che nel 2003 fece nientepopodimenoché il 30enne Marko Tuomela, difensore finlandese ormai finito ai margini del giro della nazionale, che al Liaoning Zhongshun (oggi noto come Liaoning Whowin o Liaoning Hongyun) andò per diventare il giocatore più alto del campionato (194 cm).
La storia racconta di un certo Jell Tedeenhoff, campione olandese di un campionato allo sbando, che era capitato in Cina più per caso che per altro e portò gli Shanghai Greenland a due titoli consecutivi (1961 e 1962); in Cina, i tempi dei Lippi e dei Cannavaro dovevano ancora arrivare. E, per la cronaca, oggi lo Shanghai Greenland può contare su Fredy Guarín e Oba Oba Martins (sì, loro due) oltre che su Demba Ba (fuori classifica il colombiano Giovanni Moreno), tutti sulla trentina.
Perché il dato di fatto è che stavolta non si tratta di giocatori che vanno in Cina/Giappone/Australia/Stati Uniti solo per svernare: se volessero restare in Europa, potrebbero farlo, e sarebbero pagati in modo più decoroso; mai quanto nel Celeste Impero, ma comunque benone. Andarsene è un rischio anche per questo: si rischia grosso di essere fuori dal giro che conta per davvero.
Ma qui la missione è differente: insegnare il calcio a un paese con uno sterminato bacino di potenziali giocatori. Dietro c’è la volontà di Xi Jinping, segretario generale del Partito Comunista, che ha inaugurato un programma pluriennale per lanciare il calcio, di cui è appassionato, quale nuovo sport nazionale (ne avevamo già accennato). Servono maestri di calcio, serve di costruire una cultura calcistica: di qui la spinta perché le maggiori aziende cinesi investano nel pallone. E di qui gli stipendi alti, pericolosamente vicini alle cifre di un Messi o un CR7.
Pensiamoci bene: Ramires era nella rosa brasiliana per i mondiali casalinghi (occhei, si dirà, una delle edizioni verdeoro più scarse di sempre); Lavezzi è vicecampione del mondo in carica. Vero, nel Paris Saint-Germain era caduto nel dimenticatoio (cioè in panchina); anche vero che, arrivato alla scadenza del contratto, sarebbe stato un pezzo pregiato del mercato estivo. Come in estate era stato Jackson Martínez. Così come anche Alex Teixeira, che a 26 anni sicuramente ha un bel mercato. La Super League non è più quindi un cimitero di elefanti (come gli ultimi Anelka e Drogba).
Certo, laggiù manca la Champions, e al massimo si può simpatizzare per qualche campione (che però, appunto, ci ha appena “tradito” uscendo dal giro), o per qualche squadra particolare: le mie scelte, personalmente, sarebbero il Tianjin Teda (per motivi storici: era stata concessa all’Italia in séguito alla rivolta dei Boxer), che però ultimamente ha raccolto poco (anche in termini di campioni); e poi proprio il neopromosso Hebei China Fortune di Gervinho e Lavezzi, per stima verso mister Li Tie, uno dei primi giocatori cinesi presentabili a livello internazionale (anno domini 2002, con Bora Milutinović in panca, fu l’unico a salvarsi in una spedizione nippocoreana da 0 gol e altrettanti punti in 270 minuti).
In tutto ciò, lo ammetto con un sorriso sardonico: non vedo l’ora che si prendano pure Ibrahimović. Nel momento in cui dovesse dire «Ho sempre sognato di giocare per il Chongqing Lifan», per dire, nessuno oserebbe smentirlo. Perché tutti sapremmo già il sottinteso: e guadagnare in questo modo. Perché, almeno per diversi altri anni, andare a giocare in Cina avrà questo valore qui: contante.