Tennis: Gianluigi Quinzi in bilico tra sogno e realtà

L’Italia sportiva è sempre stata composta da critici esigenti e sognatori esagerati. Ci sono eccezioni è vero, ma il popolo tennistico conferma  puntualmente la regola. A gennaio 2013 Gianluigi Quinzi divenne a 17 anni n.1 a livello juniores e nello stesso anno vinse il trofeo di Wimbledon nel torneo giovanile. Da quel momento in poi tutti gli appassionati e addetti ai lavori di fede italica hanno cominciato a sognare con lui. Alzi la mano chi non ha pensato di aver appena visto nascere un potenziale campione: finalmente un vanto azzurro fra i campioni dell’ATP.

Sono passati quasi 3 anni da allora e nel passaggio al mondo dorato del professionismo di Quinzi quasi non c’è traccia: perso fra innumerevoli cambi di allenatore, infortuni, poche vittorie e tante (forse troppe) sconfitte che ne hanno minato la fiducia e che non lo stanno per niente agevolando in una rapida scalata nelle classifica fra i pro. Il tempo (ovviamente) è ancora ampiamente dalla sua parte, ma è anche vero che il ragazzo è stato letteralmente travolto dall’enorme pressione piombatagli addosso all’improvviso.

Nell’agosto del 2013 Filippo Volandri, al termine di un secondo turno al San Marino Open (challenger) contro il giovane marchigiano, disse: “Quinzi gioca molto bene, se non arriva tra i primi dieci è un fallimento per lui”. Un affermazione forte, decisa e se vogliamo anche cattiva, probabilmente dettata dal fatto che secondo Filippo il giovane in campo era stato anche un pochino maleducato. Sempre a proposito del ragazzo, un altro veterano del tennis nostrano come Paolo Lorenzi dichiarò: “Credo possa diventare veramente molto forte e puntare al gotha del tennis”.

Le spalle del talento di Porto San Giorgio non erano ancora pronte a reggere un simile peso: giocare bene a tennis non è da tutti, ma gestirne costantemente la pressione è decisamente una virtù per pochi eletti. La verità è che il mondo juniores è una scuola sorridente e allegra, cimentarsi coi professionisti è una battaglia quotidiana. Essere fenomeni da ragazzini non equivale ad esserlo anche fra i grandi. Lo stesso concetto può valere a parti invertite: Novak Djokovic da juniores è stato al massimo n.24 del mondo senza mai brillare in maniera particolare, passato fra i professionisti sta dominando qualsiasi tipo di avversario a tiro della sua racchetta.

Se fare paragoni con i top player è alquanto ingiusto per un giovane come Quinzi, guardare semplicemente gli altri suoi colleghi coetanei, che il ragazzo abitualmente batteva fra gli juniores, è purtroppo impietoso. L’ultima classifica ATP aggiornata parla così: Ćorić n.36, Kyrgios n.41, Zverev n.56, Chung n.69, Kokkinakis n.100. Quinzi, che non ha mai scollinato la 300esima posizione, attualmente è n.384. Una differenza abissale. Il problema ancor più grave dell’imbarazzante differenza di classifica è che questi ragazzi stanno accumulando esperienze fondamentali nei più importanti tornei ATP (250, 500, master 1000) e anche in quelli dello Slam, riuscendo tra l’altro sempre più spesso ad ottenere vittorie di prestigio a discapito di qualche campione.

Quinzi invece sta continuando a galleggiare tra infortuni, partecipazioni a tornei minori come challenger e futures (dove peraltro non sta affatto brillando) e sempre con meno fiducia sulle spalle. Probabilmente al di là delle valutazioni tecniche sul suo gioco, che invece di migliorare sembra sempre più regredire, oltre ai tantissimi, troppi cambi di allenatore, che a questa età diventa fondamentale, il vero scoglio è che dal mondo juniores ai primi tornei challenger con giocatori veri ed esperti, il ragazzo soffre decisamente troppo. Il tennis e i colpi li ha sempre avuti ma questo non è sufficente. Un conto è giocare e vincere contro ragazzi di pari età, un altro è lottare sudando punto dopo punto contro tennisti navigati e scafati.

L’ambiente attorno a lui non lo ha di certo aiutato. Si è creata una sorta di pressione enorme che ha stritolato il ragazzo e che sta facendo aleggiare su di lui l’ombra dell’essere il nuovo Nargiso (unico italiano insieme a Gianluigi che da juniores negli anni ‘90 aveva vinto Wimbledon ma che non ha mai saputo confermarsi fra i pro). Il Quinzi ventenne di oggi ha nel fattore temporale ancora un suo alleato e amico innanzitutto per credere nei propri mezzi. Ma deve creare attorno a sé un mondo stabile e compatto, che da una parte lo protegga dalle pressioni che finora lo hanno stritolato e dall’altra gli dia quell’equilibrio necessario per concentrarsi solo ed esclusivamente sul suo lavoro.

Tutta l’Italia tennistica continuerà a fare il tifo per lui, ma è fondamentale trovare una guida e una strada sicura che lo aiutino davvero a crescere e a coltivare in maniera giusta quel talento che ci ha fatto per il momento solo intravedere. Perchè per sognare non ci saranno mai limiti di età, ma la realtà nello sport agonistico (come nella vita) ci impone da sempre scadenze ben precise.