Home » Hack-a-Shaq: cambiare o no?

Cambiare o non cambiare? Negli Stati Uniti è qualche giorno che, almeno tra gli appassionati NBA, non si fa altro che parlare del famoso hack-a-qualcuno. Per chi non ha seguito la vicenda, è la pratica con la quale la difesa commette volontariamente un fallo per mandare in lunetta un cattivo tiratore di liberi: prima era Shaq, poi Howard, Jordan (DeAndre, ovviamente) e adesso Drummond, ma non solo. C’è tutta una schiera di giocatori NBA che, in questo fondamentale, proprio non ne vuole sapere di eccellere. Il lungo di Detroit, per esempio, sta tirando i liberi con il 35%, una percentuale vergognosa anche per le cosiddette categorie minori; Adam Silver, il commissioner della lega, ha fatto intuire che a fine stagione potrebbero essere introdotte delle novità.

Qual è il problema di fondo, infatti? Questa pratica sempre più diffusa ha creato scompiglio perché rallenta – e di molto – i ritmi del gioco, visto che vi sono minuti e minuti di partita in cui una squadra attacca normalmente, l’altra invece aspetta che il compagno di turno subisca fallo per andare in lunetta. E a volte conviene, eccome se conviene farlo. In una lega che punta moltissimo sulla spettacolarità delle giocate – soprattutto in regular season, dove le difese non sono sempre protagoniste in positivo – è facile intuire, quindi, che la soluzione pensata da presidenti e Silver sia quella di rendere questa situazione un fallo di tipo flagrant (due liberi e palla in mano alla formazione che subisce fallo), ammazzandola definitivamente. Rendere meno dinamico il gioco, infatti, renderebbe meno televisivo il basket e, considerato quanto i diritti tv pesano nel “prodotto interno lordo” NBA, sarebbe una catastrofe per tutti quei proprietari che non desiderano altro che avere un ritorno d’investimento dalle loro franchigie.

Chi si oppone a tutto questo? Molti, anzi direi moltissimi: praticamente tutti i conservatori del gioco, in particolare uno. Un tale Kobe Bryant che, intervistato di recente, ha espresso questa opinione a riguardo: “Cambiare le regole sarebbe un esempio terribile per i più giovani. Non puoi proteggere un giocatore che non sa tirare i liberi: veniamo pagati un sacco di soldi anche per segnare questi maledetti tiri liberi“. Una posizione che, personalmente, mi sento di condividere al 100%: nessuno pretende che Drummond o Howard insidino Nash e Ray Allen nella classifica di migliori tiratori di liberi di tutti i tempi. Semplicemente basterebbe elevare le proprie percentuali a un più che umano 60-65%, tanto da rendere sconveniente la scelta di fare fallo sistematico: specie perché non si sta parlando di situazioni dinamiche come il tiro da tre punti, per esempio, ma i liberi sono un qualcosa di meccanico che, con il giusto allenamento, può essere migliorato anche in tempi relativamente brevi, specie se sei un professionista di quel livello. Spalle sciolte, rilascio alto, mano “spezzata” al momento del rilascio del tiro e tante, tante ripetizioni.

Anche perché un’eventuale modifica al regolamento creerebbe un pericoloso precedente. Tutto ciò che non favorisce lo spettacolo deve allora essere aggirato dal punto di vista normativo? Non che questa sia una novità in NBA, vista anche l’interpretazione dell’infrazione di passi modificata un paio di stagioni fa.