A volte, per raccontare una partita di calcio, basta descrivere l’espressione di alcuni dei protagonisti nei momenti chiave della stessa. Senza stare a scomodare teorie discutibili come quelle lombrosiane, è innegabile che – spesso – una singola espressione facciale renda cristallino quel che prova una persona in un dato istante e, nella nostra epoca così dominata dall’immagine, abbiamo la possibilità di poter quasi vivisezionare le emozioni dei calciatori in ogni istante di una gara semplicemente facendo attenzione ai dettagli che i primi piani possono svelarci.
M’Baye Niang: come non iniziare da quella che è la faccia per antonomasia di ieri sera? Sebbene ci siano tanti precedenti, un assist di viso rimane comunque un evento piuttosto raro su un campo di pallone e il buon M’Baye non avrà disputato una partita decente ma – come si dice in questi casi – di sicuro ci ha messo la faccia. E pare che Bonaventura e i tifosi abbiano apprezzato.
Riccardo Saponara: a differenza dell’andata a San Siro, il Ricky forlivese stavolta non ha segnato ma s’è limitato a un assist di rara bellezza per il talentuoso Zieliński, autore del primo pareggio empolese. Durante i festeggiamenti per il gol, più che quella del polacco in pieno rilascio mistico di adrenalina, è stato interessante osservare l’espressione del trequartista azzurro, connotata da una certa qual gioiosa rabbia che rende palese come far male al Milan non lo disturbi affatto. Anzi, se possibile, Saponara pareva ancor più esaltato del compagno e non a caso è stato il primo ad andare verso il giovane Piotr per festeggiare la rete: non c’è niente da fare, ogni giocata decisiva contro il Diavolo ha ancora un retrogusto di vendetta sportiva per il numero 5 dell’Empoli. E non ci sentiamo di dargli torto.
Carlos Bacca: il colombiano ha segnato sei volte nelle ultime otto gare tra campionato e Coppa Italia e sta vivendo un momento magico che, pure, traspare poco dai suoi movimenti facciali. Il centravanti rossonero, infatti, si distingue sempre per tre espressioni tipo: il volto contratto dallo sforzo e dalla concentrazione che tanto spesso gli si vede quando allunga lo scatto verso la preda, la smorfia di vera sofferenza quando sbaglia una giocata o manca l’appuntamento col pallone giusto ma, soprattutto, il sorriso sereno ma pieno di quando esulta, sintomo di una tranquillità interiore quasi zen dagli ovvi riverberi mistico-religiosi. La psicologia dell’attaccante, così apparentemente semplice, è molto affascinante proprio perché lineare al punto da apparire quasi banale – e per questo ci piace, in un momento storico di giocatori così “divi” e ossessionati dalla loro immagine. Carlos bada al sodo e non tradisce.
Giacomo Bonaventura: Jack esulta quasi sempre con molta foga, quando segna. L’ex atalantino ha nella celebrazione del gol il prosieguo naturale del suo approccio al calcio capace di coniugare efficacia e una certa qual eleganza dinoccolata e ciondolante (pur a una velocità notevole). In questo senso le sue esultanze portano molto spesso con loro – anche ieri – una gioia infantile spesso condita da salti e festeggiamenti aerei ma che si sublima fino in fondo solo nel largo e sincero sorriso a trentadue denti che il 28 rossonero esibisce ogniqualvolta trova la rete.
Massimo Maccarone: un viso che tradisce sempre e comunque orgoglio, quando si trascolora nella gioia del gol. Ma la parte più interessante dell’espressione di Big Mac quando festeggia è il sorrisetto obliquo e compiaciuto che inevitabilmente appare dopo la proverbiale ammucchiata coi compagni, così somigliante a quella dell’amichetto dei giardinetti con cui giocavamo a pallone da bambini che, dopo ogni gol, assumeva invariabilmente quell’aria un po’ così da “te l’ho fatta anche stavolta, eh?”. Un meraviglioso riverbero di preadolescenza che splende sul volto segnato di uno degli attaccanti più esperti di tutto il campionato (piuttosto spesso di recente: con ieri, Maccarone ha firmato il sesto gol nelle ultime sei partite) e che conferisce una scintillante aria da bambinone a un giocatore normalmente burbero e contegnoso, quando gioca. Per la serie: anche i duri hanno un cuore.
Siniša Mihajlović: il tecnico serbo ha spesso quell’aria da duro da film d’azione americano anni ’90 su cui così tanto si tende a indugiare per poi finire a circoscrivercelo interamente. Ma se ai primi tempi sulla panchina del Milan esibiva un’aria visibilmente scontenta in caso di non vittoria, come ci si aspetterebbe da un qualunque sergente di ferro balcanico dai metodi spicci e ruvidi, ultimamente tende invece a sfoderare un’espressione rimuginante, a volte quasi smarrita, che poco si addice al personaggio e che, chissà, magari è indice di una profonda insicurezza.
Marco Giampaolo: il mister dell’Empoli ha un viso molle, come si scriveva nei romanzi di fine ‘800, normalmente infinitamente più espressivo e rassicurante di come non appaia nei 90’ domenicali, durante i quali si fa invece più impassibile, più imperscrutabile. Al termine della gara anche Giampaolo aveva un’espressione apparentemente corrucciata non tanto per il risultato finale, potremmo ipotizzare, quanto più per l’incapacità di rilasciare la tensione immediatamente dopo il triplice fischio. Ci piace immaginare che sia un uomo che sa di avere un demone calcistico dentro e che ha imparato con la disciplina a controllarlo, compiendo uno sforzo che si protrae fino a diversi minuti dopo il termine di un match, occupato a elaborare e rielaborare subito – nella sua mente – la mole di informazioni acquisite nella partita appena giocata. Se il cruccio di Mihajlović può indicare rabbia, delusione o smarrimento, quello di Giampaolo parla ancora di lavori in corso, di attività neuronale in pieno svolgimento, di immersione totale in una realtà che per lui non s’è ancora conclusa. Una trance totalizzante che, in fondo, anche noi appassionati possiamo capire: a chi non è mai capitato di non prestare la benché minima attenzione a quello che dovremmo comprare all’Ikea perché ancora impegnati a rievocare l’ultima prestazione della nostra squadra del cuore?