Inizia l’era 2.0 di Luciano Spalletti nella Capitale. Inizia, però, in ritardo: era palese che servisse un cambio di guida tecnica alla Roma, seppur Pallotta avesse continuato a difendere Rudi Garcia nelle scorse settimane, nonostante non ci fosse palesemente più nulla su cui appigliarsi. Garcia ha fallito: poco altro da aggiungere.
Sì, ha fallito: in quasi tre anni di Roma, non è riuscito a dare una dimensione internazionale a una squadra che, a partire dalla presidenza, ha cercato di internazionalizzarsi. Sabatini, tra colpi di mercato ed errori marchiani, in questi anni di gestione tecnica francese ha fatto arrivare nella Capitale giocatori di assoluto spessore, che Garcia non ha saputo assolutamente valorizzare. La Roma ha rincorso, sempre: prima la Juventus – per due anni di fila – e quest’anno – che sarebbe dovuto essere quello della definitiva esplosione del progetto giallorosso – quelle tre che si stanno contendendo la vetta di una Serie A che non ha sorriso, finora, ai giallorossi (ma che adesso, forse, può tornare a farlo).
Ribadiamolo: Garcia, e non me ne voglia nessuno, a Roma ha fallito. Perché ha palesato difficoltà tattiche esagerate, concentrando speranze e strategie su quel Gervinho che l’ha consacrato a Lille, che l’ha esaltato nel primo anno in Italia, e l’ha salvato in questa stagione, quelle volte in cui era evidente che il tecnico, tatticamente, non sapesse che pesci pigliare.
In più, le figuracce internazionali. Bayern e Barcellona a parte (le cui imbarcate non sono state proprio una botta di autostima, ma sorvoliamo, altrimenti si dice che si parla sempre di quelle due partite), i giallorossi hanno sofferto, troppo, contro avversari di qualsiasi livello, il più delle volte inferiore. La sfida da dentro o fuori con il Bate Borisov è stata l’emblema della mancanza di carattere della truppa capitolina. Una sfida da vincere per togliere di mezzo qualsiasi polemica; una partita giocata in casa, all’ultima giornata della fase a gironi di Champions, che bisognava far propria per passare al turno successivo, contro un avversario palesemente inferiore; sfida che invece finisce con uno 0-0 desolante, in uno Stadio Olimpico che lì, già, ha perso palesemente la pazienza. Chiedendo, da quel momento a gran voce, un netto cambio di rotta. Senza dimenticarci il caso-Iturbe: giovane talento pagato a peso d’oro dalla Roma due stagioni fa, e mandato con la coda tra le gambe al Bournemouth in questa sessione di mercato invernale dopo non essere riuscito a convincere. Tutta colpa sua? Chissà. A questo punto, il dubbio, è lecito.
Via Garcia, allora. Via l’allenatore che si elogiò per aver rimesso la chiesa al centro del villaggio, via il tecnico dei violini suonati, del “quest’anno vinceremo lo scudetto”, degli show in conferenza stampa. Buona fortuna al francese, ci mancherebbe: aver fallito a Roma non è una colpa, lui ha comunque dato il massimo. Questo non glielo si può negare.
Ciao Rudi, dunque, e benvenuto Luciano. Finito l’esilio in Russia, bentornato in una Serie A che ha sentito la mancanza tua, e di quel gioco bello, divertente, che nei tuoi anni italiani hai regalato agli amanti del pallone nostrano.