Quando il campo non conta più
Non è il primo e non sarà l’ultimo scandalo sportivo, ma per chi come me è appassionato di sport ancora prima che tifoso di una squadra, ogni volta è come gettare del sale su una ferita. Sono state rese note le richieste della Procura Federale in merito all’inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro, denominata Dirty Soccer, nella quale sono coinvolte ben 28 società sportive professionistiche e dilettantistiche, oltre a 49 tesserati. Partite vendute, risultati falsati in partenza per favorire un giro di calcioscommesse e racimolare denaro sporco, insomma il lato più tenebroso e oscuro dello sport: in tutto questo, come sottolineato anche da Renzo Ulivieri stesso, la situazione economica drammatica che molte società (dalla B alla Lega Pro) stanno affrontando non può essere considerato un alibi in nessun caso, anzi va soltanto a toccare un evidente nervo scoperto che soltanto la mancanza di cultura sportiva, quella vera, può aver creato.
32 punti di penalizzazione (e 205mila euro di ammenda) richiesti per L’Aquila, 20 per la Pro Patria e 12 per il Santarcangelo: i rispettivi campionati, praticamente, verrebbero falsati perché il verdetto sarebbe già scritto a tavolino. E lo stesso destino vale anche per altre squadre come Akragas, Savona e Tuttocuoio. Indipendentemente dalla colpevolezza o meno, elemento che non spetta di certo a me giudicare, sarebbe una sconfitta per chiunque: per chi ha investito denaro e tempo per assistere a queste partite, per chi ha scommesso in questi anni credendo nella buona fede di presidenti, dirigenti e calciatori e infine anche per lo sport stesso, perché quando non è il campo a decretare un vincitore, significa che a essere sconfitto è il sistema intero, incapace di difendere i valori che lo hanno fondato.
Praticamente quello che sta succedendo anche nel basket: l’intera era Minucci, presidente della Mens Sana Siena dei sette scudetti consecutivi, rischia di essere cancellata dall’inizio (o quasi) alla fine. Una squadra che aveva partecipato a quattro Final Four di Eurolega in dieci anni, andando a dare lezioni di pallacanestro a tutte le grandi d’Europa, Mosca e Real Madrid incluse: senza parlare poi dello stradominio interno, tutto rischia di essere cancellato. Pagamenti in nero, accesso abusivo al credito, associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale e alla bancarotta fraudolenta: al centro delle indagini, ed è il motivo per cui ne sto parlando oggi, è finito anche Simone Pianigiani, l’ex tecnico della Nazionale italiana. Non rischia nulla dal punto di vista penale, ma da quello sportivo è ancora tutt’altro che salvo: al centro del dibattito c’è la presunta violazione dei principi di lealtà e correttezza. Avrà la possibilità, ovviamente, di difendersi davanti al Procuratore Federale, ma nel caso venisse provato che sapeva quanto architettato dai suoi dirigenti, a quel punto la situazione si aggraverebbe in maniera definitiva e nemmeno l’essere ancora legato alla Fip lo salverebbe da una stangata.
Resta inoltre il problema legato all’albo d’oro: i documenti contabili sotto accusa fanno riferimento dall’iscrizione al campionato 2007-2008 in avanti, quindi il primo dei sette scudetti non è in discussione. Ma gli altri? Impossibile la riassegnazione per ovvi motivi – nel calcio c’è l’obbligo, a fine stagione, di stilare una classifica definitiva mentre nel basket, con la suddivisione tra regular season e playoff, questo non avviene – e quindi Siena rischia la revoca dei trofei conquistati perché la costruzione del roster di quelle squadre è avvenuta grazie a bilanci non veritieri. Palla al tribunale, quindi: triste ma vero e, soprattutto, sempre più frequente.