Giocare sempre oppure no
Ci sono solo due squadre di calcio nel Merseyside: il Liverpool e le riserve del Liverpool. Ma che dire delle riserve delle riserve? È il quesito che ci lascia l’anticipo di FA Cup di ieri sera, giocato nell’ambiente festoso di St James tra l’Exeter City e il Liverpool, o qualcosa che vi assomigliava.
Leggiamo infatti l’undici di partenza “scelto” da Jürgen Klopp, tecnico dei Reds dall’8 ottobre 2015: Bogdan; Randall, Ilori, Enrique, Smith; Kent, Brannagan, Stuart, Teixeira; Sinclair, Benteke.
Chi? A parte Benteke, nessuno di questi calciatori gioca stabilmente per l’ex squadra di Brandan Rodgers e lo stesso José Enrique, acquistato da Kenny Dalglish nel 2011 versando 8 milioni di euro nelle casse del Newcastle, era reduce da una lunghissima assenza per infortunio.
Non s’è trattato, come spesso accade in Coppa Italia (o, per restare oltremanica, nella Capital One Cup) di snobismo, rotazione integrale, o precedenza al campionato. Ma di vera e propria emergenza, nel senso medico del termine: l’ideale formazione di infortunati sarebbe in grado perlomeno di giocarsi un quarto posto in una lega di alto livello, come illustrato dalla grafica della BBC. Né possiamo chiamare la panchina riservata a Lallana o Lucas Leiva sottovalutazione, da parte di un allenatore nuovo al sistema inglese, del giant killing, dell’avversario di quarta serie: l’Arsenal, il Manchester United e la semifinale di ritorno di Coppa di Lega chiamano e il Liverpool è già a un crocevia stagionale.
L’evoluzione della partita è presto detta: l’inesperto (e poco coeso: solo 3 dei titolari mandati in campo da Klopp avevano giocato più di 4 volte col club) undici in trasferta ha riacciuffato la partita più col cuore (col caso?) che col gioco, più di grinta che di testa.
Probabilmente il replay ad Anfield dirà tutt’altro ma interessa, oggi, non esaltare la FA Cup in quanto tale (fa incontrare le big e le piccole, regala sogni a stadi abituati a vivere un calcio minore: ce lo siamo già detti, ce lo diciamo sempre) ma riflettere sull’idea di football che non si ferma mai, sul godibilissimo – per chi sta a casa, tra panettone e moscato – Boxing Day, sui turni di campionato giocati a due giorni di distanza. O sul tour de force che sfianca le già malconce gambe (e idee) dei nazionali dei Tre Leoni nelle grandi manifestazioni estive, e nel frattempo decima i ranghi di chi patisce infortuni dovuti al freddo, a errori di preparazione, a semplice sfortuna.
Calendario alla mano, restando all’esempio di ieri, il Liverpool non s’è fermato mai. Se per le squadre italiane salutare Champions ed Europa League (soprattutto) per un paio di mesi porta ristoro, per altri è l’inizio di una fase bella e impossibile, spettacolare ma maledetta: Premier League e Coppa di Lega per chi è ancora in corsa, un turno dopo l’altro per tutte le feste natalizie.
Chi non fa turnover è perduto, per non parlare di chi giocatori non ne ha proprio altri a disposizione: non ci interessano i Reds in sé, ma l’estrema usura cui sono sottoposti i calciatori. Se un allenatore esperto e navigato come Klopp si è giocato un obiettivo stagionale (e che obiettivo: se in Premier non gira, non restano che le coppe) con gente richiamata dal prestito in fretta e furia, qualche domanda bisogna porcela. Una, su tutte: serve davvero il calcio nelle feste? Tutto quel calcio?
Rispondiamo sì alla prima domanda, no alla seconda. Bene faremmo noi italiani a non fermarci tra il 25 e l’Epifania, ma senza esagerare. Partite nei festivi e stop: come in qualsiasi mese, come ragione comanda. Ecco, l’astinenza da Serie A (curve, tifo, dibattiti, scommesse, fantacalcio e chi più ne ha più ne metta) di questo avrebbe avuto bisogno, della semplicità: 26 dicembre e 2 gennaio erano domeniche, sarebbero stati perfetti. La versione italiana di Jürgen Klopp non si sarebbe trovata a giocare un turno decisivo con la terza squadra e il nostro calcio sarebbe stato più vivo che mai.
Ma forse è troppo semplice, per chi non vede che tutto o niente, per i manichei: buonsenso questo sconosciuto. Esaltiamo chi esagera, ma non cerchiamo la via di mezzo.