Ciao 2015: il coraggio di cambiare

E’ stato un anno ricco di successi per la Juventus. Dopo il cambio di panchina nell’estate 2014, nonostante la rosa non fosse stata toccata in maniera sostanziale, in pochi credevano che Massimiliano Allegri avrebbe fatto dimenticare il suo predecessore. Il tecnico toscano ha avuto l’intelligenza di non voler cambiare struttura alla propria squadra, insistendo sul 352 (modulo che Chiellini e compagni conoscevano a memoria) piuttosto che usare il pugno duro imponendo la difesa a quattro e il rombo a centrocampo, marchio di fabbrica di Allegri. Un campionato stravinto già in inverno, complice anche il suicidio delle rivali Roma e Lazio, portato a casa ufficialmente a maggio in trasferta a Genova, poco prima di soccombere in finale di Champions League soltanto al Barcellona di Messi, Suarez e Neymar.

Dopo quattro anni di successi, una specie di “dinastia”, la dirigenza bianconera ha avuto il coraggio di fare ciò che l’Inter, nel 2010, non aveva compiuto. Ossia rischiare, rivoluzionare parte della rosa (lasciando andare Pirlo, Tevez, Vidal e Llorente) per investire risorse su calciatori più giovani e dal potenziale maggiore. Vero che Morata sta trovando spazio dietro a Mandzukic, tornato il formidabile realizzatore d’area dei tempi di Monaco di Baviera dopo un primo periodo di adattamento, ma tanti altri giovani sono in rampa di lancio. Tevez ha lasciato il segno come pochi altri giocatori nella storia recente bianconera? Nessun problema se vuole andare via, tanto arriva Dybala: un segnale fortissimo a tutta la rosa bianconera, come a dire “non importa quanto siate importanti per la squadra, qua nessuno è indispensabile“. Cinico e aziendalista, per carità, ma è così che si rimane al vertice per decenni.

La Juventus ha sofferto un inizio di stagione difficile, in primis per i tanti infortuni che avevano costretto Allegri a giocare – soprattutto in mezzo al campo – con riserve (Padoin regista ed Hernanes trequartista, per esempio), e poi perché cambiando completamente la spina dorsale di una squadra è normale avere un periodo di appannamento. Specie perché Dybala, all’inizio, era talmente poco impiegato che quasi sembrava essere fuori dal progetto Juventus, nonostante i 40 milioni sborsati in estate per portarlo a Torino. Bravo Allegri a proteggerlo, conservarlo e buttarlo dentro al momento giusto (come con Morata l’anno scorso) oppure è stato un errore di valutazione non ritenerlo subito pronto? Difficile dirlo, in ogni caso due mesi fa i tifosi bianconeri avrebbero fatto carte false per essere, a Natale, a soli tre punti dalla capolista e con tutta l’inerzia del mondo dalla propria parte, vista la fatica delle rivali.

Cosa è cambiato rispetto all’inizio dell’anno? Oltre all’impiego del centrocampo titolare, è tornato anche un certo Andrea Barzagli, uno di quelli che da soli possono cambiare il volto di una difesa che, numeri alla mano, è tornata a far paura agli attacchi che hanno provato a scardinarla. Dai due gol subiti a Roma e Napoli, passando per il pareggio interno col Frosinone: senza dimenticare la sconfitta di Reggio Emilia, giorno in cui la Juventus ha dovuto fare ammenda e, con umiltà, ha iniziato a pensare partita dopo partita. Da lì sono arrivate sette vittorie consecutive in campionato e, suicidio contro il Siviglia a parte, due mesi straordinari che hanno permesso ad Allegri di tornare più forte che mai al timone della propria squadra.

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Alessandro Lelli